Arrivederci tristezza

Mi spiace mio caro intelletto
Vattene a letto
E dormici su
Che forse il tuo mondo perfetto
Non è perfetto
Come dici tu
Scusa mio caro cervello
Sei come un fratello
Adesso anche tu
Levami questo fardello
Che voglio provare a volare lassù
Milioni di libri non servono a niente
Se servono solo a nutrire una mente, che mente
Scusa mia cara ragione
Passerò per coglione
Ma è meglio così
Forse in virtù del tuo nome
Vuoi avere ragione
Ma stammi a sentir
Assiomi e teoremi non valgono a niente
Se l’occhio non vede che il cuore non sente più niente

Arrivederci tristezza
Oggi mi godo la mia tenerezza
Perché non durerà
Perché non durerà

Scusami ancora mio cuore
Se ho fatto l’amore
Anche senza di te
Ma sono più duro di un mulo
Ti ho preso per il culo
Ma il culo è più giù
Miliardi di stelle ti dicono niente
Non dicono forse che il cielo è più grande
Più grande di te

Arrivederci tristezza
Oggi mi godo la mia tenerezza
Arrivederci amarezza
Oggi mi godo questa dolcezza
E domani chissà
E domani chissà

E rinascere
E rinascere

Mi spiace mio caro intelletto
Vattene a letto
E dormici su

© Dario Brunori – Il cammino di Santiago in taxi, Vol. 3

Una tribù nelle Andamane

C’è una notizia di oggi che mi ha molto colpito. A quanto pare, e dico a quanto pare, vista l’affidabilità delle notizie in quest’ultimo periodo, questi sarebbero i fatti.

Un missionario cattolico americano di 27 anni ha voluto a tutti i costi raggiungere l’isola indiana di North Sentinel delle Andamane, nel Golfo del Bengala. L’isola è da oltre un secolo vietatissima agli estranei, e nemmeno il governo indiano ci mette mai piede, sia per il rischio di trasmettere alla minuscola tribù locale banali infezioni che la potrebbero sterminare con facilità, sia perchè la tribù locale, seppur minuscola, è particolarmente aggressiva e ostile e non vuole avere alcun contatto con la nostra cosiddetta civiltà.

Sembrerebbe che il missionario, nonostante fosse stato ripetutamente avvertito della pericolosità della sua iniziativa, abbia voluto a tutti i costi raggiungere l’isola per evangelizzarne gli abitanti, i quali però non gli hanno nemmeno lasciato il tempo di sbarcare: l’hanno ucciso a colpi di frecce, trascinato a riva con una corda e lasciato cadavere in spiaggia. 

Ma che bisogno c’è di andare a morire a 27 anni per volere per forza, con presunzione e immagino anche ignoranza, rompere le scatole a quei pochissimi al mondo che ancora vogliono vivere come pare e piace a loro?

L’accettazione delle cose

© germinazioni

Una strada, e una direzione precisa e segnata, da percorrere ancora per chissà quanto.

La strada che si è scelta, ben conosciuta, la sua apparente tranquillità e le sue insidie.

Fuori, un paesaggio sconosciuto e la tentazione di percorrere altri sentieri. 

Un cielo immenso, bellissimo e irraggiungibile, nuvole eteree e una luce divina. 

Una canzone ritrovata

Quando avevo forse 24 anni, c’era una canzone che passava alla radio e che mi piaceva un sacco. Era d’estate, luglio probabilmente, i miei erano alla casa al mare e io, quando la beccavo alla radio, la ascoltavo nell’andito a tutto volume. Non so per quale motivo la ascoltassi nell’andito, proprio non mi viene in mente un motivo valido per questa cosa, ma tant’è.

In quel periodo di transizione tra un fidanzamento e l’altro, uscivo con un gruppo di due amici e due amiche, una delle quali purtroppo prematuramente scomparsa.

Per anni ho cercato di capire quale fosse questa canzone che all’epoca mi piaceva così tanto, ma non sono mai riuscito a trovarla. Mai. L’ho cercata anni fa su Spotify, in qualche compilation risalente a quel periodo, ma non l’ho mai trovata. Stessa cosa con Apple music. Poi, la settimana scorsa, spulciando nuovamente su Spotify tutte le playlist che avessero qualcosa a che fare con il Festivalbar di quegli anni, l’ho finalmente ritrovata. 

Non c’erano dubbi, era proprio questa!

L’ho ascoltata tutto emozionato, e per quanto sia stata capace di riportarmi in parte a quei tempi che ricordo con nostalgia e affetto, un’altra considerazione è prevalsa, pur con tutto il rispetto e la riconoscenza per quello che ha rappresentato per me: questa canzone è una mezza cagata.

Lamento di Portnoy

Ho purtroppo negli scorsi giorni finito di ascoltare questo spettacolare libro di Philip Roth nella versione audiolibro della Emons. Dico purtroppo perché è stato divertentissimo da ascoltare, tanto da ridere da solo in auto come uno scemo nei tragitti andando a lavoro, meravigliosamente scandaloso e senza filtri, tanto più se si pensa che è stato pubblicato nel 1969.

Trattandosi di un monologo o meglio ancora di un vero e proprio fiume di parole, quasi vomitato dal protagonista allo psicanalista con cui dovrà iniziare la terapia, la voce narrante diventava decisiva per la buona riuscita del progetto. E Luca Marinelli è stato bravo in maniera clamorosa. Un connubio assolutamente perfetto.

Non c’è niente da fare con quello che pensa la gente, se non badarci il meno possibile.

Philip Roth