Si tratta di uno di quei casi nei quali gli audiolibri riescono a fare la magia: il bellissimo testo di Antonio Trabucchi e la lettura magistrale di Sergio Rubini danno vita ad un’opera più grande della somma delle singole parti.
E’ un libro che avevo già letto anni fa, consigliatomi da una mia ex, e già allora mi era piaciuto parecchio. Riascoltarlo in questi giorni di preoccupante rigurgito fascista e razzista, figli di una ignoranza e intolleranza compiaciute di se stesse e alla quali non sarà facile né rapido porre rimedio, appare ancora più appropriato e doveroso.
“Stai bene a sentire, Pereira” – disse Silva – “Tu credi ancora nell’opinione pubblica? Ebbene, l’opinione pubblica è un trucco che hanno inventato gli anglosassoni… gli inglesi e gli americani. Sono loro che ci stanno smerdando – scusa la parola – con questa idea dell’opinione pubblica. Noi non abbiamo mai avuto il loro sistema politico, non abbiamo le loro tradizioni, non sappiamo cosa sono le Trade Unions. Noi siamo gente del Sud, Pereira, e ubbidiamo a chi grida di più, a chi comanda”.
For people with low-level social anxiety, a common piece of conventional wisdom is that you should stop worrying so much about what other people think, because no one is actually thinking about you. In fact, this isn’t true…
The problem is not that other people think about us but that their thoughts are so flattening, so reductive in comparison to our own complicated view of ourselves.
Una lauda assolutamente sorprendente, scoperta ascoltando l’audiolibro “Millennium poetry” di Valerio Magrelli.
Un elenco di malattie e disgrazie che il poeta si augura (!) di ricevere, come una sorta di autoflagellazione, per espiare in qualche modo le colpe delle impurità del suo corpo di peccatore.
La lingua del mille e duecento poi è assolutamente affascinante.
O Segnor, per cortesia, Mannane la malsania
A me la freve quartana, la contina e la terzana, la doppia cotidïana co la granne etropesia.
A me venga mal de denti, mal de capo e mal de ventre, a lo stomaco dolor pognenti, e ’n canna la squinanzia.
Mal degli occhi e doglia de fianco e l’apostema dal canto manco; tiseco ma ionga en alco e d’onne tempo la fernosia.
Aia ’l fecato rescaldato, la milza grossa, el ventre enfiato, lo polmone sia piagato con gran tossa e parlasia.
A me vegna le fistelle con migliaia de carvoncigli, e li granchi siano quilli che tutto repien ne sia.
A me vegna la podagra, mal de ciglio sì m’agrava; la disenteria sia piaga e le morroite a me se dia.
A me venga el mal de l’asmo, iongasece quel del pasmo, como al can me venga el rasmo ed en bocca la grancìa.
A me lo morbo caduco de cadere en acqua e ’n fuoco, e ià mai non trovi luoco che io affritto non ce sia.
A me venga cechetate, mutezza e sordetate, la miseria e povertate, e d’onne tempo en trapparia.
Tanto sia el fetor fetente, che non sia null’om vivente che non fugga da me dolente, posto ’n tanta ipocondria.
En terrebele fossato, ca Riguerci è nomenato, loco sia abandonato da onne bona compagnia.
Gelo, granden, tempestate, fulgur, troni, oscuritate, e non sia nulla avversitate che me non aia en sua bailia.
La demonia enfernali sì me sian dati a ministrali, che m’essercitin li mali c’aio guadagnati a mia follia.
Enfin del mondo a la finita sì me duri questa vita, e poi, a la scivirita, dura morte me se dia.
Aleggome en sepoltura un ventre de lupo en voratura, e l’arliquie en cacatura en espineta e rogaria.
Li miracul’ po’ la morte: chi ce viene aia le scorte e le vessazione forte con terrebel fantasia.
Onn’om che m’ode mentovare sì se deia stupefare e co la croce signare, che rio scuntro no i sia en via.
Signor mio, non è vendetta tutta la pena c’ho ditta: ché me creasti en tua diletta e io t’ho morto a villania.
Non credo a niente che sia facile, rapido, spontaneo, improvvisato, approssimativo. Credo alla forza di ciò che è lento, calmo, ostinato, senza fanatismi, né entusiasmi. Non credo a nessuna liberazione, né individuale, né collettiva che si ottenga senza il costo di un’autodisciplina, di un’autocostruzione, d’uno sforzo.
Sempre nell’andata a Sassari per lavoro dell’articolo precedente, ma stavolta al ritorno, mi sono fermato a vedere il Nuraghe Santu Antine, che avevo forse visto quando ero alle scuole medie e che quindi non ricordavo quasi per nulla.
Nel bel mezzo di una piana nota come Valle dei Nuraghi, spunta maestoso e fiero con la sua torre centrale che all’epoca della costruzione, nel XV secolo a.C., si stima raggiungesse i 25 metri di altezza. La sua planimetria è di un’eleganza formidabile:
Purtroppo l’ho dovuto fotografare alla luce dura dell’una e mezza, non certo l’ideale, e fotografare i nuraghe è ogni volta un’impresa. Diciamo che sono mille volte meglio di persona, e in foto non rendono tanto.
All’interno è meraviglioso, con due impressionanti corridoi in pietra che collegano le torri Est e Ovest:
Anche questi sono difficili da valorizzare in foto, per lo meno per le mie scarse capacità. Forse sarebbe stata opportuna una figura umana a dar meglio il senso delle proporzioni, ma ero da solo e anche se avessi avuto un cavalletto non sarei certo stato fotogenico. Devo essere anche io parente dei nuraghi, sotto questo aspetto.
Ho provato anche questa foto verticale, ma il risultato è simile. In uno dei cortili interni c’è questo bel pozzo, che fungeva da indispensabile riserva idrica nel caso di eventuali assedi.
Monumento che rappresenta uno dei massimi vertici del periodo nuragico, il nuraghe Santu Antine di Torralba è una meraviglia che non vi potete perdere.
Bellissima dalla strada, mi appare come una visione improvvisa. La basilica della Santissima Trinità di Saccargia è un regalo graditissimo e inaspettato, merito dei lavori in corso nel tratto finale della S.S. 131 che mi costringono a deviare per un percorso alternativo. Sto andando a Sassari per un incontro di lavoro, e sono già con i minuti contati. Ma non posso rinunciare a scattare qualche foto a questa meraviglia dell’architettura romanico pisana. Al rientro, all’ora di pranzo, la luce sarebbe troppo dura, sempre ammesso che non si rannuvoli tutto quanto appiattendo miseramente le immagini.
Tiro fuori dalla borsa di lavoro la Sony Rx 100 Va, appositamente presa così tascabile in maniera tale da potermela portare sempre appresso, e scatto qualche foto. Soltanto dalla parte posteriore della basilica, non ho infatti il tempo di visitarla con calma di fronte e all’interno. Ci tornerò certamente.
Sul fotografare a Bologna, in maniera come dilettantesca e amatoriale, avevo già scritto un articolo tempo fa. Come spesso succede non ho appreso granché da quella esperienza, ma mi è capitato di tornare in questa città per alcune ore nel contesto di un viaggio per lavoro e non ho potuto esimermi da fare qualche scatto senza grandi pretese, tanto per imparare ad utilizzare la nuova Sony Rx 100 Va.
Stavolta sono andato in giro un paio d’ore senza meta nel centro storico, e a parte questa foto sopra che non mi dispiace, per il resto ho fatto qualche scatto “da turista”:
Le foto in verticale sono sempre più complicate delle altre anche se per queste bellissime torri rappresentano la scelta più ovvia.
Probabilmente non ero dello spirito giusto, ma questa volta sono rimasto colpito negativamente dal disordine e dalla sporcizia della città. Troppi graffiti (brutti), troppe cartacce, troppo disordine.