Ieri e oggi al posto di poltrire dopo pranzo ho deciso di fare una passeggiata con il cane in pineta. Ventitre km complessivi in due giorni, per un totale di cinque ore in solitudine, con il solo rumore dei miei passi e il frusciare del vento, tra pini, ginepri, sassi e ruscelli. Un bell’allenamento in vista della – si spera imminente -salita alle cime dei Sette Fratelli. Ho scoperto nuovi sentieri ma soprattutto, ad un certo punto, ho finalmente perso l’orientamento. Viste da un’altra prospettiva, anche le cose più familiari non lo appaiono più.
Eravamo nella vecchia casa e ricordo ancora bene quando appresi la notizia del naufragio dal telegiornale, poco dopo la mezzanotte del 13 gennaio 2012.
In quel periodo ipotizzavamo di fare una crociera da qualche parte, sembrava un tipo di vacanza adatto per genitori di un bambino di un anno e poco più. Forse per quel motivo la notizia mi colpì così tanto. O forse si trattava di un evento talmente paradossale – una nave da mezzo miliardo di dollari che nonostante tutte le più moderne tecnologie va a schiantarsi contro gli scogli – che mi avrebbe colpito a prescindere anche se non ci fosse stato un interesse specifico. Non lo so, ed è irrilevante. Ma anche questo blog lo è, perciò racconto quello che mi pare e siamo a posto così.
Ad accrescere la curiosità, pochi giorni dopo scoprimmo che tra i naufraghi c’era anche una giovane coppia che conoscevamo, titolari della rosticceria dove andiamo abitualmente qui in paese. Li continuo a vedere abbastanza spesso, e ogni volta mi verrebbe la curiosità di sapere che storia hanno da raccontare. Sono riusciti a scendere con le prime scialuppe, quando la situazione era ancora relativamente tranquilla? Hanno vissuto i momenti di panico quando la nave si è infine inclinata? Dove sono stati ospitati sull’isola del Giglio? Ma non ho sufficiente confidenza, e in ogni caso non sono cose da chiedere mentre si ritirano pollo arrosto e patatine.
E comunque, a parte questa curiosità iniziale, di questa storia non ne avevo poi conosciuto i dettagli e le dinamiche. Ho recuperato nelle ultime settimane, perchè mi è capito di ascoltare, andando in auto a lavoro o passeggiando con il cane nei sentieri della pineta, due ottimi podcast. Il primo è “Il mondo addosso” di Matteo Caccia, autore che ha fatto altri podcast che mi sono piaciuti parecchio anche in passato. Ottimamente confezionato, racconta le storie degli abitanti dell’Isola del Giglio e l’impatto sulle loro vite che questa cosa così assurda ha determinato per loro.
Il secondo, “Il dito di Dio. Voci dalla Concordia” di Pablo Trincia oltre agli audio originali della cabina di comando e della capitaneria raccoglie una serie di testimonianze di alcuni naufraghi, ed è altrettanto ben fatto e interessante.
Oltre a trattarsi in primo luogo di una storia drammatica, che ha causato la morte di 32 persone e chissà quanti altri traumi psicologici, è anche istruttiva ed emblematica di molto altro. Il comandante Schettino, ormai diventato sinonimo dello sprovveduto scriteriato irresponsabile che ricopre ruoli di comando, e che per una leggerezza incosciente si rovina la vita e una carriera fino ad allora impeccabile. La figuraccia internazionale della telefonata con De Falco. Il tentativo di minimizzare dell’unità di crisi di Costa Crociere, principale motivo della morte dei passeggeri. La passività di tutti gli altri ufficiali in comando, che non intervennero per dare l’ordine di evacuazione anche quando ormai la situazione era palesemente compromessa. Gli interessi economici in gioco, perché se avessero chiamato i rimorchiatori avrebbero speso centinaia di milioni di dollari da riconoscere loro per il salvataggio. La fortuna sfacciata del vento di grecale che riporta la nave, senza motore e non più manovrabile dopo lo scontro con gli scogli, a poggiarsi su altri scogli quasi verso il porto dell’isola evitando così di affondare in mare, cosa che avrebbe verosimilmente provocato la morte di moltissime più persone.
L’assurdità di tutto questo vale l’ascolto di questi due podcast.
Avvertenza per gli incauti lettori: è da quasi quattro mesi che non pubblicavo più nulla su questo blog, per vari motivi che in ogni caso li so io e va bene così, ma purtroppo per voi oggi recupererò con una abbuffata non richiesta di parole e di immagini. Fuggite, finché siete in tempo.
Dopo avere accompagnato mio figlio a scuola, nel primo giovedì di novembre libero dal lavoro sono partito in auto con lo zaino fotografico al completo e senza avere una destinazione precisa. La giornata era molto fredda e ventosa e minacciava pioggia, con un cielo grigio che fotograficamente era quanto di peggio potessi desiderare. Manco avevo cominciato e già stavo partendo con preconcetti errati, perché il maltempo spesso riserva sorprese inaspettate, come avrei scoperto alla fine di questa giornata.
In ogni caso, l’idea era quella di andare in giro e fermarmi dovunque ci fosse stato qualcosa di interessante da fotografare. Essendo sempre stato, per carattere, incline a programmare e avere tutto sotto controllo, volevo cercare invece di entrare in uno stato mentale di libertà e scoperta. Mi fossi perso, sarebbe stato il miglior risultato possibile. Tanto per cominciare, niente navigatore e seguiamo la strada.
In ogni caso, siccome da qualche parte bisognava pur andare e la segnaletica stradale obbliga a fare delle scelte, ad un certo punto ho deciso di andare verso le montagne dal profilo seghettato che si vedono all’orizzonte verso ovest, particolarmente suggestive al tramonto, quando si rientra verso Cagliari da Oristano sulla 131. Che cosa ci fosse da quelle parti non ne avevo la minima idea, non essendoci mai andato, perciò quale posto migliore per cercare di perdersi?
Prima tappa ad Ussana, dove ho fatto un breve giro in auto in centro passando dal Monte granatico. Non ho scattato nessuna foto, ma in compenso in un panificio alla periferia del paese ho subito rovinato i buoni propositi di iniziare a mangiare in maniera più salutare in questo giorno che sarebbe dovuto essere un nuovo inizio per tanti motivi.
Attraversate San Sperate e Villasor, sono quindi arrivato a Villacidro, e ho deciso di andare a vedere la cascata di Sa Spendula, che non avevo mai visto. Bella, ma l’acqua non era tantissima e le foto non sono venute granché. La cosa più sorprendente e straniante è stata salire in auto in cima al monte vicino alla cascata, sopra il quale pensavo di trovare chissà quale vista panoramica o foresta, per scoprire che invece in cima al monte, non appena scollinato, si arrivava alla parte alta del centro abitato di Villacidro. Non me lo aspettavo.
Da lì ho deciso di raggiungere Portu Maga, perciò ho attraversato Arbus e dopo parecchi tornanti in cima ai monti ho scoperto inaspettatamente un grosso complesso minerario. Sceso dall’auto, le condizioni meteorologiche erano abbastanza sconfortanti, come si può vedere in questa foto:
Ho presto scoperto che si trattava della miniera abbandonata di Montevecchio, che non avevo mai visto. Purtroppo era chiusa alle visite, perciò mi sono dovuto limitare a fare qualche foto dalla strada. Enorme, ed estremamente affascinante.
Le strutture principali visibili in queste due foto qui sopra dovrebbero essere la laveria Principe Tommaso, sormontata poi dal Pozzo Sartori, inaugurato durante la seconda guerra mondiale e che scende fino a quasi 300 metri sotto il livello del mare.
Le attività di estrazione, che comunque erano state praticate anche dagli antichi Romani e nel Medioevo, iniziarono a diventare più sistematiche nel 1842, ad opera del prete sassarese Giovanni Antonio Pischedda, che a Marsiglia si associò con un altro sassarese anche lui chiamato Giovanni Antonio ma facente Sanna di cognome.
Ben presto la miniera divenne la più grande del Regno d’Italia, con 1100 operai al lavoro nel 1865, e cessò di esistere soltanto nel 1991 dopo l’occupazione del pozzo Amsicora effettuata da alcuni minatori in segno di protesta.
Terminata la visita dall’esterno di Montevecchio, con la promessa di ritornarci quanto prima per una visita guidata, ho proseguito verso Portu Maga, ma mi sono trovato presto di fronte ad una strada sbarrata, che mi ha obbligato a lasciar perdere l’idea di andare in questa spiaggia (sarà una prossima volta) e procedere verso nord, fino ad arrivare a Porto Palma, in tempesta e sferzata dalla pioggia e dal maestrale, ed infine a Torre dei corsari, dove ho scattato questa foto di Cala is Cannisonis.
per poi andare dall’altro versante rispetto alla Torre di Flumentorgiu a vedere lo spiaggione di Torre dei Corsari, dalla sabbia color ocra in questa giornata di maltempo
Era ormai tempo di rientrare alla base, non prima però di fermarmi da qualche parte vicino a San Nicolò d’Arcidano a fotografare i campi verdi ipersaturi per la pioggia…
… un magnifico doppio arcobaleno….
… i monti seghettati che mi avevano in questa giornata attirato da queste parti…