Il Cammino di Santiago

Mario P. ce ne parlò qualche anno fa ad una pizzata con l’entusiasmo straripante e il fervore quasi mistico di chi vuole convincere gli ignavi ad una esperienza che deve essere fatta almeno una volta nella vita, perché da quel momento in poi niente è più come prima. Aveva percorso qualche settimana sul Camino con la moglie e i consuoceri, e per quanto il racconto di un viaggio sia sempre soltanto il pallido riflesso delle intense emozioni che si sono vissute, giacché un viaggio è sempre non raccontabile per definizione, si percepiva che questo viaggio aveva qualcosa di davvero speciale e che meritava di farci un pensierino sopra.

La cosa è rimasta a sedimentare per un po’ di tempo, poi è tornata a galla quando ho ascoltato la bellissima serie di podcast “Cammini” di Enrico Brizzi. Una delle cose migliori che mi sia capitato di ascoltare su Audible, perfetto nel connubio tra narrazione, musiche e contenuti. Parla di viaggi a piedi di lunga percorrenza, dal Cammino di Santiago appunto, percorso addirittura partendo a piedi da Torino, al Cammino degli Dei, la Via Francigena, Italica 150 e altri ancora. Racconti che fanno venire una gran voglia di allacciarsi gli scarponi, mettersi uno zaino in spalla e partire. Sognare, forse.

Terminato di ascoltare Cammini, Audible proponeva come contenuto simile “Volevo solo camminare”, un libro di Daniela Collu. Conduttrice, influencer e autrice televisiva, la ricordavo soltanto per qualche vecchia puntata di Extra Factor, e nonostante fosse stata l’ospite attorno al bivacco intervistata da Brizzi nelle puntate dedicate appunto al Cammino di Santiago di Compostela, per qualche mio malsano pregiudizio avevo pensato che il libro che aveva scritto non valesse la pena di essere ascoltato e fosse la classica opera pubblicata dalle case editrici per vendere qualche copia grazie sfruttando la popolarità del personaggio.

Invece una mattina nella quale stavo andando a lavoro e avevo voglia di ascoltare qualche altro racconto su questo viaggio a piedi, ho deciso di dare a “Volevo solo camminare” una possibilità. E devo dire che ho fatto bene, anzi benissimo, perché il libro è interessante, ben scritto e ben letto dalla stessa autrice e l’ho divorato fino alla fine dispiacendomi quando è finito. Daniela, scusa: sappi comunque che per farmi perdonare ho iniziato ad ascoltare l’altro tuo audiolibro che parla di arte, ed è piacevole pure quello.

Tornando al pellegrinaggio, ho visto qualche giorno fa “Il cammino per Santiago” di Emilio Estevez, non un capolavoro ma con un buon finale e interessante per vedere qualche immagine dei luoghi.

E insomma, l’idea di fare questo Camino mi attira parecchio, e spero prima o poi di riuscire ad andarci. Sognare, forse.

The wire

Forse la serie Tv meglio concepita tra tutte quelle che ho visto, non per niente acclamata dalla critica come forse la migliore in assoluto nel genere poliziesco. Ritratto realistico e spietato della città di Baltimora, vera protagonista della serie, e una sceneggiatura ai massimi livelli per un racconto corale con tanti personaggi indimenticabili. Cinque stagioni imperdibili, sono già in crisi di astinenza per averle terminate. Consigliatissima.

Days of Heaven

Days of Heaven è il primo film di Terrence Malick che ho visto, e l’ho subito adorato. La fotografia (premio Oscar a Nestor Almendros), i paesaggi, i silenzi, la tecnica di ripresa, le musiche di Morricone, la tragedia biblica, i volti dei protagonisti (Sam Shepard e Brooke Adams sopra tutti), il racconto fuori campo della ragazzina, le foto d’epoca, la povertà. Una meraviglia. L’ho rivisto qualche giorno fa (“I giorni del cielo” su Prime Video) e non me ne sono pentito. Mi è anzi venuta la voglia di rivedere anche Song to song, che mi aveva stregato in un hotel ad Ancona lo scorso anno, e di completare quanto prima il resto della filmografia di questo regista.

The mule

Nello stesso volo in cui ho visto “A star is born”, ho guardato anche “The mule”, di e con il leggendario Clint Eastwood. Per quanto la risoluzione del monitor del 777 fosse scarsa quanto quella della nostra compagnia di bandiera di offrire finalmente un servizio degno di questo nome, il film mi è piaciuto, anche se non mi ha entusiasmato. Mi è sembrato comunque poco credibile (con i limiti rappresentati dalla visione di un film in un aereo, con tutte le distrazioni che ci sono, nonché dalla mia incompetenza al riguardo) in certe dinamiche psicologiche, e con un ravvedimento del protagonista scarsamente motivato. Ma del resto è cinema, e va tutto bene.

Quello che più mi è rimasto è la metafora dei fiori: per un certo tempo necessitano di molte cure prima che possano sbocciare, in tutta la loro effimera bellezza e unicità, per poi morire subito dopo. Al contrario di una famiglia, per costruire la quale non basta una vita.

Shallow… ancora contro la superficialità

Nel lungo viaggio da Roma a Los Angeles, dove abbiamo fatto scalo prima di partire per Honolulu, ho visto “A star is born”, un bel remake con una inaspettata e sorprendente Lady Gaga e Bradley Cooper in veste di regista e attore protagonista.

Uno dei temi centrali del film, soprattutto nella prima parte, é l’importanza di andare oltre la superficie delle cose, persone o situazioni che siano. Essere coerenti con se stessi, non avere paura di dire quello che si pensa, non essere conformisti e disposti a rinunciare alla propria identità pur di sfondare in uno degli ambienti più spietati della nostra epoca , quello del mondo dello spettacolo.

La canzone principale, che ha vinto meritatamente il premio Oscar, é la bellissima e struggente “Shallow”, di cui riporto di seguito il testo perchè merita:

Tell me somethin’, girl
Are you happy in this modern world?
Or do you need more?
Is there somethin’ else you’re searchin’ for?

I’m falling
In all the good times I find myself
Longin’ for change
And in the bad times I fear myself

Tell me something, boy
Aren’t you tired tryin’ to fill that void?
Or do you need more?
Ain’t it hard keeping it so hardcore?

I’m falling
In all the good times I find myself
Longing for change
And in the bad times I fear myself

I’m off the deep end, watch as I dive in
I’ll never meet the ground
Crash through the surface, where they can’t hurt us
We’re far from the shallow now

In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
We’re far from the shallow now

Oh, oh, oh, oh
Whoah!

I’m off the deep end, watch as I dive in
I’ll never meet the ground
Crash through the surface, where they can’t hurt us
We’re far from the shallow now

In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
In the shallow, shallow
We’re far from the shallow now

Conan, il più grande eroe della mia infanzia

Capolavoro di Miyazaki in 26 puntate trasmesso a partire dal 1978 in Giappone e qualche anno dopo in Italia, ha segnato in maniera indelebile la mia infanzia.

Ancora oggi ascoltare la bellissima sigla cantata da Giorgia Lepore è un’emozione che mi riempie di speranza e di buoni propositi. Riuscire a seguire tutte le puntate, trasmesse da non ricordo più quale rete locale ad orari variabili e intramezzata da tonnellate di pubblicità, era complicatissimo e sono quasi certo di non averle nemmeno viste tutte, ma cercherò di rimediare quanto prima. Bellissimi disegni, bellissima trama, uno stile unico. Da vedere e da far vedere obbligatoriamente ai vostri figli.

Un’incredibile impresa di Alex Honnold

So già che non accadrà, ma mi auguro che questo film prodotto da National Geographic esca in qualche cinema dalle mie parti.

Parla della assurda impresa di Alex Honnold, che nel giugno 2017 ha scalato in free solo, quindi senza corde e senza alcuna protezione, i 900 m di altezza della parete verticale di granito di El Capitan a Yosemite. Primo al mondo a riuscire a fare una cosa del genere, difficilissima anche con le corde e tutto il resto. Ci ha impiegato meno di quattro ore, già che c’era.

© germinazioni

El Capitan è la parete visibile sulla sinistra, in questa foto che ho scattato  nel 2007. Il fatto che sia alta quasi un chilometro fa capire quanto siano giganti le sequoie che si vedono dietro lo Yosemite River in primo piano. 

Tanto per capire di che follia stiamo parlando…

© Jimmy Chin / National Geographic

Hell or high water

Altro film visto in volo tra Tokyo e Dubai. “Hell or high water” è un film del 2016 di David Mackenzie, con Jeff Bridges, Chris Pine e Ben Forster. Riesce a mescolare in maniera sapiente e con buon ritmo ingredienti collaudati e stereotipati ma sempre affascinanti: la provincia estrema del South west degli Stati Uniti, un viaggio on the road tra Texas e Oklahoma, cowboy stanchi e disillusi, senso del destino, rapine in banca, auto veloci, la polvere del deserto. Il tutto accompagnato da una magnifica fotografia, che predilige luci calde e radenti, e dialoghi spesso scoppiettanti.

Hostiles

L’ho visto in aereo, con tutti i limiti del caso. Ma Hostiles di Scott Cooper è un gran bel film. Crudo, spietato, vero, terribile. Un film che parla di violenza e dignità, e di un tentativo di redenzione. Nonostante tutto. Silenzi e sguardi che valgono più di mille parole. Una traversata a cavallo, attraverso un Ovest americano crepuscolare ma impareggiabile come sempre. Christian Bale sopra tutti, perfetto nella parte, con baffoni e divisa d’ordinanza. Un finale emozionante, che mi ha ricordato “Chemako” quinto episodio della amata saga di Ken Parker, con Belle e Theba.

Ken Parker episodio 5: “Chemako, colui che non ricorda”. Sceneggiatura di Giancarlo Berardi – Disegni di Ivo Milazzo