Considerazioni

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For people with low-level social anxiety, a common piece of conventional wisdom is that you should stop worrying so much about what other people think, because no one is actually thinking about you. In fact, this isn’t true…

The problem is not that other people think about us but that their thoughts are so flattening, so reductive in comparison to our own complicated view of ourselves.

Kristen Roupenian – The New Yorker, January 2019


Una tribù nelle Andamane

C’è una notizia di oggi che mi ha molto colpito. A quanto pare, e dico a quanto pare, vista l’affidabilità delle notizie in quest’ultimo periodo, questi sarebbero i fatti.

Un missionario cattolico americano di 27 anni ha voluto a tutti i costi raggiungere l’isola indiana di North Sentinel delle Andamane, nel Golfo del Bengala. L’isola è da oltre un secolo vietatissima agli estranei, e nemmeno il governo indiano ci mette mai piede, sia per il rischio di trasmettere alla minuscola tribù locale banali infezioni che la potrebbero sterminare con facilità, sia perchè la tribù locale, seppur minuscola, è particolarmente aggressiva e ostile e non vuole avere alcun contatto con la nostra cosiddetta civiltà.

Sembrerebbe che il missionario, nonostante fosse stato ripetutamente avvertito della pericolosità della sua iniziativa, abbia voluto a tutti i costi raggiungere l’isola per evangelizzarne gli abitanti, i quali però non gli hanno nemmeno lasciato il tempo di sbarcare: l’hanno ucciso a colpi di frecce, trascinato a riva con una corda e lasciato cadavere in spiaggia. 

Ma che bisogno c’è di andare a morire a 27 anni per volere per forza, con presunzione e immagino anche ignoranza, rompere le scatole a quei pochissimi al mondo che ancora vogliono vivere come pare e piace a loro?

L’accettazione delle cose

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Una strada, e una direzione precisa e segnata, da percorrere ancora per chissà quanto.

La strada che si è scelta, ben conosciuta, la sua apparente tranquillità e le sue insidie.

Fuori, un paesaggio sconosciuto e la tentazione di percorrere altri sentieri. 

Un cielo immenso, bellissimo e irraggiungibile, nuvole eteree e una luce divina. 

Una canzone ritrovata

Quando avevo forse 24 anni, c’era una canzone che passava alla radio e che mi piaceva un sacco. Era d’estate, luglio probabilmente, i miei erano alla casa al mare e io, quando la beccavo alla radio, la ascoltavo nell’andito a tutto volume. Non so per quale motivo la ascoltassi nell’andito, proprio non mi viene in mente un motivo valido per questa cosa, ma tant’è.

In quel periodo di transizione tra un fidanzamento e l’altro, uscivo con un gruppo di due amici e due amiche, una delle quali purtroppo prematuramente scomparsa.

Per anni ho cercato di capire quale fosse questa canzone che all’epoca mi piaceva così tanto, ma non sono mai riuscito a trovarla. Mai. L’ho cercata anni fa su Spotify, in qualche compilation risalente a quel periodo, ma non l’ho mai trovata. Stessa cosa con Apple music. Poi, la settimana scorsa, spulciando nuovamente su Spotify tutte le playlist che avessero qualcosa a che fare con il Festivalbar di quegli anni, l’ho finalmente ritrovata. 

Non c’erano dubbi, era proprio questa!

L’ho ascoltata tutto emozionato, e per quanto sia stata capace di riportarmi in parte a quei tempi che ricordo con nostalgia e affetto, un’altra considerazione è prevalsa, pur con tutto il rispetto e la riconoscenza per quello che ha rappresentato per me: questa canzone è una mezza cagata.

Altri orizzonti

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E’ mattina. Sto andando a lavoro, ma oggi non ho fretta di arrivare. Sono ancora stanco da ieri, e ho bisogno di un momento di pausa. O di riflessione, forse. Mi fermo in uno spiazzo, scendo dalla macchina e faccio due passi. Terreno bagnato di rugiada. Profumo di macchia mediterranea. Un paesaggio spettacolare, una valle che sembra incontaminata e primigenia. Torno in macchina a prendere il telefono per scattare una foto, dandomi mentalmente del deficiente per non aver portato la fotocamera. Quella vera.

Inquadro. Pura natura, e un orizzonte che riempie gli occhi e il cuore.

E’ in mezzo a questa Natura che dovrei stare. E’ sopra questa terra che dovrei stare. Aria fresca, erba, terra, foglie e vento. Realtà. Verità. Purezza.

E invece io che faccio? Sto andando a lavoro. Anzi, ringraziamo pure che ho avuto per lo meno il buonsenso di fermarmi un attimo.

Ma a parte questo sprazzo di inaspettato buonsenso, il problema vero resta un altro. Con tutta questa meraviglia da contemplare, con tutta questa vita reale da vivere, io cosa faccio? Sto andando a lavoro. E magari anche stessi andando a fare qualcosa di utile. Di stimolante. Di interessante. Magari! Sicuro come la morte che anche oggi andrò sul posto di lavoro a sprecare il mio tempo e ore preziose e irripetibili della mia vita per stare a sentire per l’ennesima volta le solite penose e inutili stronzate, bugie, mediocrità e noiosaggini. Non c’è male.

C’è qualcosa di sbagliato in tutto questo. O peggio, è tutto sbagliato tutto questo.

Conan, il più grande eroe della mia infanzia

Capolavoro di Miyazaki in 26 puntate trasmesso a partire dal 1978 in Giappone e qualche anno dopo in Italia, ha segnato in maniera indelebile la mia infanzia.

Ancora oggi ascoltare la bellissima sigla cantata da Giorgia Lepore è un’emozione che mi riempie di speranza e di buoni propositi. Riuscire a seguire tutte le puntate, trasmesse da non ricordo più quale rete locale ad orari variabili e intramezzata da tonnellate di pubblicità, era complicatissimo e sono quasi certo di non averle nemmeno viste tutte, ma cercherò di rimediare quanto prima. Bellissimi disegni, bellissima trama, uno stile unico. Da vedere e da far vedere obbligatoriamente ai vostri figli.