Qui nella bellissima versione di Bob Dylan con Johnny Cash inclusa nell’album Nashville skyline del 1969. Una canzone che adoro, questa sulla ragazza del Nord.
Well, if you’re travelin’ in the north country fair Where the winds hit heavy on the borderline Remember me to one who lives there She once was a true love of mine
Well, if you go when the snowflakes storm When the rivers freeze and summer ends Please see if she’s wearing a coat so warm To keep her from the howlin’ winds
Please see for me if her hair hangs long, If it rolls and flows all down her breast. Please see for me if her hair hangs long, That’s the way I remember her best.
I’m a-wonderin’ if she remembers me at all Many times I’ve often prayed In the darkness of my night In the brightness of my day
So if you’re travelin’ in the north country fair Where the winds hit heavy on the borderline Remember me to one who lives there She once was a true love of mine
Ho finalmente visto il documentario di Scorsese sulla magica “The Rolling Thunder Revue” del 1975-1976, folle spettacolo itinerante nel quale his Bobness era a capo di un variegato gruppo di musicisti che spaziava da Joan Baez a Scarlett Rivera a Ramblin’ Jack Elliott e un’altra sessantina.
La vita non é la ricerca di te stesso, o di qualcosa. É creare te stesso e creare cose.
Bob Dylan
Avessi avuto – o coltivato – un qualsiasi talento, una vita votata alla musica o all’arte mi avrebbe affascinato. Ma ormai, come tante altre cose che mi piacciono ma per le quali in questa non c’è più né il tempo né lo spazio, se ne parlerà in un’altra vita.
You must leave now, take what you need, you think will last But whatever you wish to keep, you better grab it fast Yonder stands your orphan with his gun Crying like a fire in the sun Look out the saints are comin’ through And it’s all over now, Baby Blue
The highway is for gamblers, better use your sense Take what you have gathered from coincidence The empty-handed painter from your streets Is drawing crazy patterns on your sheets This sky, too, is folding under you And it’s all over now, Baby Blue
All your seasick sailors, they are rowing home All your reindeer armies, are all going home The lover who just walked out your door Has taken all his blankets from the floor The carpet, too, is moving under you And it’s all over now, Baby Blue
Leave your stepping stones behind, something calls for you Forget the dead you’ve left, they will not follow you The vagabond who’s rapping at your door Is standing in the clothes that you once wore Strike another match, go start anew And it’s all over now, Baby Blue
Con quella voce e con questo brano ha scritto un pezzo di Storia. C’è bisogno di aggiungere altro?
WRITTEN BY: BOB DYLAN
Come gather ’round people Wherever you roam And admit that the waters Around you have grown And accept it that soon You’ll be drenched to the bone If your time to you is worth savin’ Then you better start swimmin’ or you’ll sink like a stone For the times they are a-changin’
Come writers and critics Who prophesize with your pen And keep your eyes wide The chance won’t come again And don’t speak too soon For the wheel’s still in spin And there’s no tellin’ who that it’s namin’ For the loser now will be later to win For the times they are a-changin’
Come senators, congressmen Please heed the call Don’t stand in the doorway Don’t block up the hall For he that gets hurt Will be he who has stalled There’s a battle outside and it is ragin’ It’ll soon shake your windows and rattle your walls For the times they are a-changin’
Come mothers and fathers Throughout the land And don’t criticize What you can’t understand Your sons and your daughters Are beyond your command Your old road is rapidly agin’ Please get out of the new one if you can’t lend your hand For the times they are a-changin’
The line it is drawn The curse it is cast The slow one now Will later be fast As the present now Will later be past The order is rapidly fadin’ And the first one now will later be last For the times they are a-changin’
Ma quanto è bella Lost Highway di Hank Williams? Potrei ascoltarla all’infinito senza mai stufarmi. Per chi non lo conoscesse, Hank Williams è stato uno dei più influenti cantanti del ventesimo secolo, leggenda assoluta del country e dell’honky tonk.
E’ purtroppo morto giovanissimo, a soli ventinove anni. Lo ritrovarono sul sedile posteriore di una Cadillac azzurra il primo gennaio del 1953, ucciso da un infarto o da una overdose di morfina. Si stava facendo portare in auto ad un concerto in Ohio, dopo che il suo volo fu annullato per una bufera di neve. Prima che l’autista si accorgesse di trasportare un cadavere, trascorse una infinità. Ma si sa… le leggende della musica non muoiono come i comuni mortali.
Da anni Hank Williams aveva problemi di dipendenza da alcol e oppiacei, che assumeva anche per i dolori causati dalla spina bifida che lo affliggeva dalla nascita. Inaffidabile, spesso sbronzo o strafatto, la sua band lo abbandonò più di una volta, perse un sacco di soldi per contratti annullati da produttori esasperati e molti suoi concerti furono annullati. Inutile dire che anche il suo matrimonio andò in pezzi.
Famosa fu l’ammonizione che ricevette da Roy Arcuff, altro cantante country:
Tu hai una voce da un milione di dollari, ragazzo, ma un cervello da dieci centesimi.
Nonostante tutto ciò, pur nei suoi pochi anni di attività lasciò un segno indelebile nella musica americana. Spigoloso e ossuto, era un cowboy dalla faccia pallida cresciuto in Alabama negli anni della Grande Depressione. Con un padre malato e assente e una madre costretta a turni massacranti in ospedale per sbarcare il lunario, non ebbe di certo una infanzia facile. Ma imparò a suonare la chitarra, e la sua voce unica, unita ad una intensità interpretativa mai vista prima di allora, gli consentirono di piazzare dodici brani al primo posto nelle classifiche musicali americane. La sua carriera fu sfolgorante e divenne presto una celebrità.
Cosa ancora più importante, lasciò una gigantesca eredità a quanti vennero dopo di lui. Tantissimi artisti gli sono debitori, primo fra tutti Bob Dylan. In Chronicles – Volume 1 scrisse di Hank Williams:
“Il suono della sua voce mi trapassò come una verga carica di elettricità. Era come se avesse trovato il modo di sconfiggere la forza di gravità. […] Una voce bella come le sirene delle navi”
“Quando sento cantare Hank, ogni movimento cessa di esistere. Il più lieve sussurro sembra un sacrilegio.”
Lost Highway di Hank Williams è una celebre canzone country che in realtà non è stata scritta da Hank Williams, come tutti pensano. La scrisse nel 1948 Leon Payne, un cantautore country cieco, che la registrò nello stesso anno con l’etichetta Bullet di Nashville. Eccolo qui nella foto, primo da sinistra, insieme ad Hank Williams.
Hank Williams la scoprì mentre era in tour in Louisiana e Texas e se ne innamorò. Con la sua voce unica, ne fece una propria, magistrale versione. Quella che io adoro.
Lost Highway di Hank Williams (scritta da Leon Payne)
I’m a rollin stone all alone and lost For a life of sin I have paid the cost When I pass by all the people say Just another guy on the lost highway.
Just a deck of cards and a jug of wine And a womans lies makes a life like mine Oh the day we met, I went astray I started rolling down that lost highway.
I was just a lad, nearly 22 Neither good nor bad, just a kid like you And now I’m lost, too late to pray Lord I take a cost, oh the lost highway.
Now boys don’t start to ramblin’ round On this road of sin are you sorrow bound Take my advice or you’ll curse the day You started rollin’ down that lost highway.
Fonti consultate per Lost Highway di Hank Williams:
“Riportando tutto a casa”: così si potrebbe tradurre il capolavoro Bringing it all back home di Bob Dylan, uscito nel marzo del ’65. Il titolo del disco era una chiara dichiarazione di intenti, quella cioè di riportare in America un certo tipo di musica, che dopo gli splendori del rock&roll di Elvis Presley negli anni ’50, proseguiva la sua evoluzione in Inghilterra, dove era stata rivisitata e proposta in chiave più moderna.
Pur nell’evoluzione dello stile e degli arrangiamenti, le canzoni dell’epoca nascevano per lo più con finalità di intrattenimento e per spingere le persone a ballare. Le tematiche quasi sempre restavano leggere. Dylan in quegli anni era etichettato, anche suo malgrado, il profeta assoluto del folk, genere musicale nel quale la parola ricopriva invece un ruolo determinante rispetto alla parte suonata. Con Bringing it all back home iniziò un vorticoso e rivoluzionario processo attraverso il quale riuscì ad amalgamare in maniera magistrale folk, blues e rock&roll con poesia e letteratura. Nel luglio del ’65, a pochissimi mesi di distanza, Dylan fece uscire un altro disco, Highway 61 revisited, il cui brano di apertura, Like a rolling stone, è considerato il momento fondante del rock.
Questa è la meravigliosa copertina del disco. La foto scattata da Daniel Kramer ritrae Dylan con Sally Grossman, la moglie del suo manager, e tutta una serie di oggetti simbolici troppo lunghi da elencare…
Ma perché tutto questo preambolo? Per parlare di un argomento che mi sta a cuore ma che non c’entra granché con tutto ciò. Cosa che giustifica ancora meno questa introduzione. Ma tant’è. Pur rendendomi conto della imperdonabile presunzione di voler fare anche solo un accostamento del genere, sento infatti forte la necessità di “riportare tutto a casa”. Che nella mia mente bacata non è altro che un modo più cerebrale di dire: “facciamo il punto della situazione”.
Nella mia vita ho sempre avuto un sacco di cose alle quali mi sono appassionato. Alcune hanno avuto durata effimera, altre sono rimaste costantemente in cima ai miei pensieri, altre ancora hanno avuto momenti di luna di miele, periodi di oblio e successivi improvvisi ritorni di fiamma. Come era ovvio, ad un certo punto – meglio tardi che mai, ma nel mio caso è un problema ricorrente – mi sono reso conto che non sarebbe stato possibile portare avanti tutti quanti questi interessi. Una scrematura era necessaria.
O meglio, avrei potuto anche continuare così come ho sempre fatto, a saltellare da una cosa all’altra. Ma con la cosiddetta maturità ho anche capito che il tempo a disposizione non sarebbe stato infinito, con tutte le limitazioni che ne sarebbero seguite. Alcuni interessi, infatti, per essere sviluppati nel modo in cui intendevo io avrebbero avuto bisogno di tempo – parecchio tempo! – e dedizione non momentanea.
Il giorno in cui ho deciso di imparare a suonare la chitarra
L’esempio più eclatante nel mio caso, quello che mi ha letteralmente fatto aprire gli occhi, è stato quello della chitarra. Ne ripercorro brevemente la storia, per me molto significativa. Ho ricevuto, sua mia richiesta, una chitarra in regalo da uno zio per i miei 18 anni. Dopo aver preso tre o quattro lezioni da un amico di famiglia, dopo qualche settimana ho rinunciato. E per quasi vent’anni la chitarra è rimasta a prendere polvere.
Fino al 28 ottobre 2009.
Quel giorno, mentre guardavo una puntata di X Factor con mia moglie ho avuto una improvvisa folgorazione. Francesco De Gregori e Morgan hanno eseguito “Il suonatore Jones”, dal capolavoro “Non al denaro non all’amore né al cielo” di Fabrizio De André.
Libertà l’ho vista svegliarsi
ogni volta che ho suonato
per un fruscio di ragazze
a un ballo,
per un compagno ubriaco.
E poi se la gente sa,
e la gente lo sa che sai suonare,
suonare ti tocca
per tutta la vita
e ti piace lasciarti ascoltare.
La combinazione di testo e musica, profondamente evocativi, unitamente al suono della chitarra e dell’armonica a bocca, mi hanno completamente stregato. In quel preciso momento, e lo ricordo come fosse ieri, ho deciso che avrei dovuto imparare a suonare uno strumento musicale. Chitarra o armonica a bocca. Avendo già la chitarra, la scelta è stata semplice. Ho acquistato il manuale “Chitarra per negati” e scaricato un corso dal web, con delle videolezioni di buon livello.
Che cosa ho imparato dalla (mancata) pratica della chitarra
Ho iniziato a strimpellare, con molta difficoltà. La diteggiatura mi sembrava impossibile. Premere le corde una tortura. Certi movimenti, anche banali, difficilissimi. Riuscivo a farli ma a costo di una estrema lentezza e concentrazione. I suoni che ne venivano fuori, manco a dirlo, erano orrendi. Alcune posizioni delle dita, che vedevo nelle pagine successive ai primissimi capitoli, mi sembravano addirittura impensabili e irrealizzabili. La mia mano ormai non aveva più la mobilità per fare certe cose. Troppo tardi. Ho anche pensato di avere le dita corte per la chitarra. I polpastrelli troppo grossi, poco affusolati e non adatti.
Comunque sia, pur con grandi difficoltà, mi sono posto l’obiettivo di esercitarmi tutti i giorni per una ventina di minuti. Alcuni rari giorni ci sono riuscito, molti altri li ho saltati. Ho avuto dei lunghi periodi nei quali non ho toccato la chitarra. Per mesi. In un attimo sono passati cinque anni.
Cinque anni nei quali, nella mia testa, ero convinto di fare chitarra. Se qualcuno mi avesse chiesto: “Stai suonando la chitarra?”, avrei risposto: “E’ da cinque anni che mi esercito, ma i progressi sono scarsi. Evidentemente non sono portato.“
E adesso viene il bello
Peccato solo che un giorno mi sono messo a fare un po’ di conti. E sono stati conti impietosi. In cinque anni, sommando tutte le volte in cui mi ero messo a suonare, non avevo superato le ottanta ore di esercizio. Soltanto ottanta ore! Una ridicola media di 16 ore all’anno. Poco più di un’ora al mese!
A questo punto era tutto chiaro.
Non solo sarebbe stato impossibile pretendere di imparare a suonare la chitarra dedicandoci un’ora al mese. Ma ancora peggio è stato scoprire di avere una convinzione distorta, legata ad una percezione del passare del tempo completamente sbagliata. Non so perché ciò avvenga, ma non è un caso isolato. Quante volte ci ripromettiamo di fare una determinata cosa, e ci diciamo “Domani inizio”, salvo poi accorgerci che sono passati anni – anni! – e non abbiamo ancora combinato nulla?
Con questa consapevolezza alle spalle, ho deciso allora di riprendere a suonare la chitarra con più dedizione. Già che c’ero, mi sono posto un obiettivo ambizioso e a lungo termine.
Cinquemila ore di pratica.
Perché proprio questo numero? Perché è la metà esatta di 10.000, ovvero il numero di ore che una certa teoria considera necessarie per raggiungere un discreto grado di maestria in qualcosa. A patto che si tratti di ore nelle quali si eserciti la cosiddetta deliberate practice, concetto tutt’altro che trascurabile ma che non ho voglia di approfondire in questa sede. Anni fa ho letto il libro di Malcolm Gladwell che ne parlava, e che sia vera o meno questa teoria, poi smentita da altri studi, di una cosa ero sicuro. Dopo 5.000 ore di chitarra, qualche progresso lo farò. Almeno si spera. Non saranno diecimila ore, e non mi consentiranno di arrivare a chissà quale maestria, ma dovrebbero essere più che sufficienti per strimpellare qualcosa in maniera dignitosa.
Cinquemila ore però non sono poche, e ho calcolato che anche nella più ottimistica delle ipotesi avrei potuto dedicare alla chitarra una quarantina di minuti al giorno. Ho iniziato domenica 10 gennaio 2016, con la previsione di terminare (salute e altre cose permettendo ovviamente) per lunedì 24 marzo 2036. Vent’anni di chitarra. A quaranta minuti al giorno. Non male.
Ho utilizzato l’app Persistence, nell’iPhone, per tenere traccia di questa attività. Fino al 15 febbraio sono riuscito a non saltare neppure un giorno. Ancora non riesco a capire come ho fatto, ma ero proprio concentrato anima e corpo su questo obiettivo. Tornavo a casa da lavoro e anche se ero stanco, mi mettevo dieci minuti a fare chitarra. Poi un altro quarto d’ora durante una pausa nei giochi con mio figlio o nelle incombenze quotidiane. Poi altri quindici minuti ritagliati chissà come. Per quasi un mese ho saltato diversi giorni, ma non volevo desistere. Dal 10 marzo fino al 30 luglio ho avuto un buon periodo di continuità, nel quale sono riuscito a saltare pochissimi giorni. Poi black-out estivo quasi completo, a causa del quale sono arrivato a -90 giorni sulla tabella di marcia.
Ma non desisto, e cercherò di riprendere quanto prima.
Ho visto qualche mese fa su Sky “I’m not there“, il biopic di Todd Haynes sulla vita di Bob Dylan, uscito nelle sale nel 2007. Film molto visionario e dalla costruzione particolare, che consiglio soltanto a chi conosce (e bene) la biografia dell’artista. Diversamente sarebbe impossibile cogliere i numerosi riferimenti e citazioni e il film sarebbe pressoché incomprensibile.
Ma ancora più interessante del film è stata per me la colonna sonora di “I’m not there”. Raccoglie canzoni suonate da Dylan e altre reinterpretate da altri artisti: un brano che mi ha particolarmente colpito, anche se non al primo ascolto, è Moonshiner. Inciso da Dylan nel 1963, è stato pubblicato per la prima volta nel 1991 in “The Bootleg Series, Vols. 1-3 (Rare & Unreleased) 1961-1991 “. Nella colonna sonora del film il brano è ben interpretato da Bob Forrest, leader della band di indie rock dei Thelonious Monster.
This is one of those tunes that can really mess with my emotions. If I’m driving late at night and this comes on, it might make me feel sad. If I hear it and I’m at home in a good mood, it might just make me feel inspired to pick up the guitar and harmonica and do my best Bobby D impression.
Brano folk dalle origini ancora dibattute, secondo alcuni Moonshiner è un brano irlandese poi diffusosi in America, secondo altri è un brano tradizionale americano che poi ha avuto fortuna in Irlanda. Le prime tracce risalgono agli anni’30, nelle registrazioni della cantante irlandese Delia Murphy, e si può presumere che sia questa la versione più attinente a quella originale, risalente a chissà quanti anni prima. E di cui non sono restate tracce. Inutile dire che si tratta di una melodia completamente diversa da quella che poi verrà incisa da Dylan diverse decine di anni più tardi.
Clicca qui per ascoltare la versione di Moonshiner di Delia Murphy (traccia 14), dall’album “If I were a blackbird”
Bob Dylan riarrangiò il brano in maniera magistrale, e anche la sua esecuzione è considerata una delle migliori dal punto di vista vocale, come il suo più famoso critico, Greil Marcus, sostiene nel libro “Bob Dylan scritti: 1968-2010“:
“Prendo tutte le note” disse Dylan nel 1965, in risposta all’intervistatore che aveva nominato Caruso, “e se voglio riesco a trattenere il fiato tre volte tanto”. Questa ballata degli Appalachi – cinque minuti di sospensione, singole note dalla gola del cantante e l’armonica trattenuta nell’aria come se lasciar scendere le note significasse dispensare morte – deve essere stata quello che aveva in mente.
I’ve been a moonshiner for seventeen long years
I’ve spent all my money on whiskey an’ beer
I go to some hollow and set up my still
If whiskey don’t kill me then i don’t know what will.
I’d go to some bar room and drink with my friends
Where the women can’t follow an’ see what i’ve spent
God bless those pretty women, i wish they was mine
Their breath is as sweet as the dew on the vine.
Let me eat when i’m hungry, moonshine when i’m dry
Greenbacks when i’m hard up, religion when i die
The whole world is a bottle an’ life’s but a dram
When a bottle gets empty, god it ain’t worth a damn.
I’ve been a moonshiner for seventeen long years
I spent all my money on whiskey an’ beer
I’d go to some hollow and set up my still
And if whiskey don’t kill me then i don’t know what will.
Sono stato un distillatore clandestino per diciasette lunghi anni
Ho speso tutto il mio denaro in whisky e birra
Vado in qualche fossato e preparo il mio alambicco
E se il whisky non mi uccide allora non so cosa lo farà
Andrò in qulache bar a bere con i miei amici
Dove le donne non possono seguirmi per vedere quel che spendo
Do le benedica quelle belle donne, vorrei fossero mie
Il loro respiro è così dolce come la rugiada sulle piante
Fatemi mangiare quando ho fame, fatemi bere whisky clandestino quando ho sete
verdoni quando sono senza una lira, religione quando morirò
Il mondo intero è una bottiglia e la vita nient’altro che un bicchierino di whisky
Quando una bottiglia è vuota state certi che non vale più un fico secco
Sono stato un distillatore clandestino per diciasette lunghi anni
Ho speso tutto il mio denaro in whisky e birra
Vado in qualche fossato e preparo il mio alambicco
E se il whisky non mi uccide allora non so cosa lo farà.
Una perla nascosta nella discografia di Dylan, capace di emozionarmi ogni volta che la sento. “Every grain of sand“, nell’incisione contenuta nell’album “The Bootleg Series Volumes 1-3 (Rare & Unreleased) 1961-1991“, ha una freschezza e una suggestione che si ritrovano di rado da altre parti.
Nell’autunno del 1981 Dylan chiamò Jennifer Warnes per farle sentire una nuova canzone che aveva scritto e registrarla insieme. La Warnes, cantante cristiana che aveva piazzato alcuni successi da hit parade negli anni precedenti (e che qualche anno dopo fece incetta di Oscar, Grammy e Golden globe per il brano “The time of my life” del film “Dirty dancing – balli proibiti”), si presentò ai Rundown studios con tutta probabilità con una certa apprensione mista a perplessità.
Soltanto tre anni prima infatti, Bob Dylan, nato Robert Allen Zimmerman in una famiglia ebraica di Duluth in Minnesota, fece scalpore per la sua conversione a “cristiano rinato”.
I due album usciti in quegli anni, “Slow train coming” e “Saved”, denotavano una visione fondamentalista e intransigente della realtà che spiazzò la critica e il pubblico. La scelta apparve ancora più inspiegabile in un artista che, a partire dalla metà degli anni ’60, era diventato la leggenda vivente del rock per la sua poetica spesso anticonformista e la sua rivolta nei confronti di tutto l’establishment che lo avrebbe voluto, per comodità, etichettare di volta in volta come cantante di protesta, simbolo della controcultura giovanile, profeta del folk e chissà cos’altro.
Dylan fece sentire a Jennifer Warnes una sola volta il brano al pianoforte, dopodiché le chiese di registrarlo, senza darle il tempo di studiarselo con calma o di provarlo in alcun modo. Dylan non era nuovo a questo modo di lavorare, che lasciava spesso sconcertati i musicisti che lo dovevano accompagnare, ma ancora una volta fece il capolavoro.
Ne venne fuori un’incisione fenomenale, durante la quale, ad aggiungere improvvisazione all’improvvisazione, i cani di Dylan iniziano ad abbaiare amalgamandosi in maniera perfetta con la melodia e aggiungendo un ulteriore livello di profondità a questo brano, che altro non è se non un canto di gratitudine per tutta la meraviglia della vita, la potenza assoluta della creazione e il mistero che si cela dietro anche le più piccole cose, come appunto i granelli di sabbia del titolo.
In the time of my confession, in the hour of my deepest need
When the pool of tears beneath my feet flood every newborn seed
There’s a dyin’ voice within me reaching out somewhere
Toiling in the danger and in the morals of despair
Don’t have the inclination to look back on any mistake
Like Cain, I now behold this chain of events that I must break
In the fury of the moment I can see the Master’s hand
In every leaf that trembles, in every grain of sand
Oh, the flowers of indulgence and the weeds of yesteryear
Like criminals, they have choked the breath of conscience and good cheer
The sun beat down upon the steps of time to light the way
To ease the pain of idleness and the memory of decay
I gaze into the doorway of temptation’s angry flame
And every time I pass that way I always hear my name
Then onward in my journey I come to understand
That every hair is numbered like every grain of sand
I have gone from rags to riches in the sorrow of the night
In the violence of a summer’s dream, in the chill of a wintry light
In the bitter dance of loneliness fading into space
In the broken mirror of innocence on each forgotten face
I hear the ancient footsteps like the motion of the sea
Sometimes I turn, there’s someone there, other times it’s only me
I am hanging in the balance of the reality of man
Like every sparrow falling, like every grain of sand
Nel momento della mia confessione, nel momento del mio più profondo bisogno
Quando la pozza di lacrime sotto i miei piedi si allaga con ogni neonato seme
C’è una voce in agonia dentro di me che cerca qualcosa da qualche parte,
lavorando duramente nel pericolo e nella morale della disperazione.
Non ho l’inclinazione a guardare indietro ad ogni sbaglio,
come Caino, adesso scorgo questa catena di eventi che devo spezzare.
Nella furia del momento, riesco a vedere la mano del Signore
In ogni foglia che trema, in ogni granello di sabbia.
Oh, i fiori dell’indulgenza e l’erbaccia degli anni passati,
come criminali, hanno soffocato il respiro della coscienza e del buon conforto.
Il sole batte sui passi del tempo per illuminare la strada
Per affievolire il dolore dell’ozio e la memoria del declino.
Fisso attraverso l’entrata di affamate fiamme tentatrici
Ed ogni volta che passo da questa parte sento sempre il mio nome.
Poi avanti nel mio viaggio riesco a capire
Che ogni capello è numerato così come ogni granello di sabbia.
Sono passato dagli stracci alla ricchezza nel dolore della notte
Nella violenza di un sogno estivo, nel brivido di una luce invernale,
nell’amara danza della solitudine che svanisce nello spazio,
nello specchio rotto dell’innocenza su ogni viso dimenticato.
Sento gli antichi passi come il movimento del mare
A volte mi giro, e c’è qualcuno lì, a volte solo io.
Sono sospeso in equilibrio sulla realtà dell’uomo
Come ogni passero che cade, come ogni granello di sabbia.