“Revolutionary Road”, di Richard Yates

Ho finito di ascoltare oggi questo classico della letteratura americana, come al solito in auto nel tragitto tra casa e lavoro e viceversa. L’ho iniziato ad ascoltare con qualche scetticismo per la lettura di Adriano Giannini, che inizialmente non mi convinceva granché, così come il primo capitolo che ho trovato un po’ prolisso e pesante.

Poi, con il procedere della trama, sempre più interessante e ben congegnata, anche l’interpretazione di Giannini è diventata magicamente perfetta per quest’opera. Qui di seguito una piccola selezione dei passaggi che più mi hanno colpito.

[…] è stato così che noi due abbiamo accettato questa enorme illusione, perché di questo si tratta: una enorme, oscena illusione… l’idea che una volta messa su famiglia la gente debba rinunciare alla vita reale e sistemarsi.  

Ma buon Dio, essere a Parigi con April Wheeler! Passeggiare trasognato per quelle strade con le dita fresche di April Wheeler intrecciate alle sue…

[…] ma ormai April non aveva più bisogno di alcun consiglio nè di alcuna istruzione. Era calma e tranquilla ora, sapendo quel che aveva sempre saputo, quel che né i suoi genitori, né zia Claire, né Frank né chiunque altro avevano mai dovuto insegnarle: che se si vuol fare qualcosa di assolutamente onesto, qualcosa di vero, alla fine si scopre sempre che è una cosa che va fatta da soli.

“La macchia umana” di Philip Roth

I trasferimenti in auto per andare a lavoro sono lunghi e spesso noiosi. Mi capita spesso di avere bisogno di distrarmi, e di ascoltare qualcosa di interessante. Questo capita di solito quando sono in pace con me stesso, i pensieri sono chiari, il mondo è in ordine e vado avanti diritto per la mia strada senza apparenti esitazioni. Altre volte invece la mente vaga tra mille pensieri, e in quei casi anche solo ascoltare un po’ di musica mi disturba e interrompe il flusso delle cose. Allora apro un po’ il finestrino, se il tempo lo consente, come quasi sempre accade, e guido pensando a tutto e a niente. Difficile comunque che da queste riflessioni venga fuori qualcosa di utile. Si tratta più di un modo per far sedimentare certi pensieri che non per addivenire a qualche soluzione.

Ma non divaghiamo…. Nell’ultimo mese, nei momenti propizi sopra descritti, ho dedicato oltre quindici ore di tempo ad ascoltare da Audible “La macchia umana”, audiolibro edito da Emons. E ne è valsa decisamente la pena. Purtroppo  Philip Roth, poco più di un mese fa, è appena passato dall’essere giudicato come “il più grande scrittore vivente” al ben più inappellabile “il più grande scrittore morto prima avere meritatamente ricevuto il Nobel per la letteratura”. Ma in fondo chi se ne importa del Nobel. Era e resterà un maestro inimitabile.

Con gli audiolibri mi succede spesso una cosa strana. All’inizio la voce narrante mi appare poco naturale, poco adatta al romanzo. Poi, dopo che è passato un po’ di tempo, diventa magicamente l’unica voce giusta per leggere quel testo, e l’interpretazione di Paolo Pierobon in questo caso è stata davvero ineccepibile, ricca di sfumature e tagliente come una lama.

Non spetta certo a me aggiungere niente di nuovo o di personale su questo capolavoro della letteratura. Non ne sarei minimamente in grado, del resto. L’unica cosa sensata che posso fare è quello di consigliarlo senza esitazioni: scoprirete un magistrale intreccio della trama, una incredibile e veritiera profondità di introspezione dei personaggi e una descrizione implacabile dell’umanità tutta.

Furore, il capolavoro di John Steinbeck

Furore di John Steinbeck (“The grapes of wrath” nell’edizione originale) é il capolavoro della narrativa realista americana, pubblicato per la prima volta nel 1939 e vincitore l’anno successivo del Premio Pulitzer. L’ho finito di leggere qualche giorno fa: che gran libro!

Con una prosa asciutta ed efficace, che raggiunge il suo apice in alcuni capitoli più descrittivi di grande potenza suggestiva, Furore descrive le tribolazioni della famiglia Joad, costretta ad abbandonare l’Oklahoma per andare a cercar fortuna in California. Un libro fondamentale, pieno di fatalismo non rassegnato e grande dignità. E una miseria nera, che tutti dovrebbero conoscere per non dimenticare.

(La copertina dell’edizione originale di “The Grapes of wrath” della Viking Press. Photo: Carter Burden Collection of American Literature, Morgan Library & Museum)

“E manco Ma’ è un tipo tenero. Una volta ha pigliato a colpi di pollo un piazzista che faceva questioni. Ma’ aveva in una mano il pollo vivo e nell’altra aveva l’accetta per tagliargli la testa. Voleva colpire il piazzista con l’accetta ma si è sbagliata di mano e l’ha pigliato a colpi di pollo. Alla fine il pollo non siamo manco riusciti a mangiarlo. A Ma’ gli erano rimaste in mano solo le zampe. Nonno ha riso così tanto che s’è fatto uscire l’osso del fianco.” Furore di John Steinbeck

Negli anni trenta del secolo scorso i progressi nelle tecniche agricole, con la comparsa su larga scala di trattori capaci di svolgere il lavoro di decine di uomini, e le devastazioni del Dust bowl, le tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali, causarono la migrazione di oltre mezzo milione di americani. Un vero e proprio esodo di massa, mosso da disperazione e istinto di sopravvivenza, che diede origine alla più grande migrazione interna degli Stati Uniti.

“Dai, Tommy. Vedrai che ti viene facile raccontarti che li stai fregando, sdraiato lì in mezzo al cotone. E l’importante è quello che uno riesce a raccontarsi.” Furore di John Steinbeck

Gli Oakies, come dispregiativamente vennero chiamati, arrivarono in California affamati di terra e di lavoro, e non furono certo accolti a braccia aperte. Terra non ce n’è. Lavoro neppure. Tornate da dove siete venuti.

Con una moltitudine di disperati disposti a fare qualsiasi cosa pur di non morire di fame,  furono in tanti ad approfittare della situazione: le paghe crollarono, e ci si spaccava la schiena per sopravvivere fino al giorno dopo, nella speranza di tempi migliori. Tra i messaggi di Furore, la denuncia sociale dello sfruttamento dei lavoratori, da parte dei grandi proprietari terrieri e delle banche, è di fatto uno dei più importanti. Steinbeck, che risiedeva in California all’epoca dei fatti, fu un testimone diretto e sconcertato di questi avvenimenti, e per la creazione del romanzo prese spunto da una serie di articoli giornalistici che egli stesso pubblicò sul “San Francisco News”.

Copertina-Bompiani

Ho letto il libro, in formato ebook, nella nuova edizione Bompiani del 2013, con la traduzione di Sergio Claudio Perroni, basata sul testo integrale e dunque non rimaneggiata dalla censura americana e italiana dell’epoca. Questo di seguito è il passaggio certamente più radicale del libro, nel quale Tom Joad, uno dei principali protagonisti di questo racconto corale, dice alla madre:

“… io ci sarò sempre, nascosto e dappertutto. […] Dove c’è qualcuno che lotta per dare da mangiare a chi ha fame, io sarò lì. Dove c’è uno sbirro che picchia qualcuno, io sarò lì. Se Casy aveva ragione, be’, allora sarò negli urli di quelli che si ribellano… e sarò nelle risate dei bambini quando hanno fame e sanno che la minestra è pronta. E quando la nostra gente mangerà le cose che ha coltivato e vivrà nelle case che ha costruito… be’, io sarò lì.”  Furore di John Steinbeck

Il personaggio di Tom Joad diventò di primaria importanza nella cultura popolare americana. Fu interpretato da Henry Fonda nel celebre film di John Ford del 1940, vincitore di numerosi Oscar l’anno successivo (nelle due immagini sotto, la locandina di “The grapes of wrath” e una scena del film).

Woody Guthrie, uno dei più importanti cantanti folk americani, gli dedicò due canzoni all’interno del disco “Dust Bowl Ballads”, anch’esso del 1940, uno dei primi concept album della storia della musica popolare. Lo spirito di Tom Joad è stato poi magistralmente invocato nell’album “The ghost of Tom Joad” di Bruce Springsteen, del 1995, e nella splendida canzone omonima.