Un duetto ipnotico, un amore impossibile cantato dalla voce magica di Thom Yorke dei Radiohead con PJ Harvey in controcanto. Tratto da “Stories from the City, Stories from the Sea”, quinto album di PJ Harvey pubblicato nel 2000. Una canzone che non mi stanco mai di ascoltare.
Can you hear them?
The helicopters
I’m in New York
No need for words now
We sit in silence
You look me
In the eye directly
You met me
I think it’s Wednesday
The evening
The mess we’re in
And ooh
The city sunset over me
The city sunset over me
Night and day
I dream of
Making love
To you now baby
Love making on screen
Impossible dream
And I have seen
The sunrise over the river
The freeway
Reminding of
This mess we’re in
And ooh
The city sunset over me
The city sunset over me
The city sunset over me
The city sunset over me
What were you wanting?
(What was that you wanted?)
I just wanna say
Don’t ever change now baby
I’d thank you
I don’t think we will meet again
And you must leave now
Before the sun rises
Over the skyscrapers
And the city landscape comes into view
Sweat on my skin
Oh
This mess we’re in
Ooh
The city sunset over me
The city sunset over me
The city sunset over me
The city sunset over me
Mentre ascoltavo per caso una radio di Spotify creata a partire dallo splendido album “The Hope Six Demolition Project” di PJ Harvey, ho scoperto un’altra perla dell’adorata Polly Jean: “Henry Lee”, da “Murder ballads” (1996) di Nick Cave, cantata in coppia con quest’ultimo, nel periodo in cui i due avevano una relazione.
Come facilmente intuibile dal titolo dell’album, anche “Henry Lee” è una ballata che racconta un omicidio per amore.
Ecco qui il testo e traduzione, dal sito nickcave.it
Get down, get down, little Henry Lee
Scendi giù, scendi giù mio piccolo Henry Lee
And stay all night with me
E passa la notte con me
You won’t find a girl in this damn world
Non troverai altra ragazza in questo maledetto mondo
That will compare with me
Che sia pari a me
And the wind did howl and the wind did blow
E il vento urlava e il vento soffiava
La la la la la
La la la la
La la la la lee
La la la li
A little bird lit down on Henry Lee
Un uccellino si posò su Henry Lee
I can’t get down and I won’t get down
Non posso scendere e non voglio scendere giù
And stay all night with thee
A passare la notte con te
For the girl I have in that merry green land
Perché il mio amore sta in quelle belle terre verdi
I love far better than thee
E lo amo molto più di te
And the wind did howl and the wind did blow
E il vento urlava e il vento soffiava
La la la la la
La la la la
La la la la lee
La la la li
A little bird lit down on Henry Lee
Un uccellino si posò su Henry Lee
She leaned herself against a fence
Si sporse dallo steccato
Just for a kiss or two
Disse che era solo per un bacio
And with a little pen-knife held in her hand
E con il coltellino che teneva in mano
She plugged him through and through
Lo trapassò più e più volte
And the wind did roar and the wind did moan
E il vento urlava e il vento soffiava
La la la la la
La la la la
La la la la lee
La la la li
A little bird lit down on Henry Lee
Un uccellino si posò su Henry Lee
Come take him by his lilly-white hands
Venite, afferratelo per le mani bianche come gigli
Come take him by his feet
Venite, afferratelo per i piedi
And throw him in this deep deep well
E buttatelo in questo bel pozzo
Which is more than one hundred feet
Profondo più di cento piedi
And the wind did howl and the wind did blow
E il vento urlava e il vento soffiava
La la la la la
La la la la
La la la la lee
La la la li
A little bird lit down on Henry Lee
Un uccellino si posò su Henry Lee
Lie there, lie there, little Henry Lee
Laggiù, stattene laggiù, piccolo Henry Lee
Till the flesh drops from your bones
Finché la carne ti si staccherà dalle ossa
For the girl you have in that merry green land
Perché il tuo amore che sta in quelle terre verdi
Can wait forever for you to come home
Aspetterà in eterno il tuo ritorno a casa
And the wind did howl and the wind did moan
E il vento urlava e il vento soffiava
La la la la la
La la la la
La la la la lee
La la la li
A little bird lit down on Henry Lee
Un uccellino si posò su Henry Lee
“Polly Jean è la ragazza con le mani più fredde e le labbra più calde che abbia mai conosciuto” – Nick Cave
Ma anche l’amore tra Cave e la Harvey finirà presto, non senza conseguenze e con tracce riconoscibili in un brano che Cave pubblicherà qualche anno più tardi, l’altrettanto splendido: “Into my arms”
Ma quanto è bella Lost Highway di Hank Williams? Potrei ascoltarla all’infinito senza mai stufarmi. Per chi non lo conoscesse, Hank Williams è stato uno dei più influenti cantanti del ventesimo secolo, leggenda assoluta del country e dell’honky tonk.
E’ purtroppo morto giovanissimo, a soli ventinove anni. Lo ritrovarono sul sedile posteriore di una Cadillac azzurra il primo gennaio del 1953, ucciso da un infarto o da una overdose di morfina. Si stava facendo portare in auto ad un concerto in Ohio, dopo che il suo volo fu annullato per una bufera di neve. Prima che l’autista si accorgesse di trasportare un cadavere, trascorse una infinità. Ma si sa… le leggende della musica non muoiono come i comuni mortali.
Da anni Hank Williams aveva problemi di dipendenza da alcol e oppiacei, che assumeva anche per i dolori causati dalla spina bifida che lo affliggeva dalla nascita. Inaffidabile, spesso sbronzo o strafatto, la sua band lo abbandonò più di una volta, perse un sacco di soldi per contratti annullati da produttori esasperati e molti suoi concerti furono annullati. Inutile dire che anche il suo matrimonio andò in pezzi.
Famosa fu l’ammonizione che ricevette da Roy Arcuff, altro cantante country:
Tu hai una voce da un milione di dollari, ragazzo, ma un cervello da dieci centesimi.
Nonostante tutto ciò, pur nei suoi pochi anni di attività lasciò un segno indelebile nella musica americana. Spigoloso e ossuto, era un cowboy dalla faccia pallida cresciuto in Alabama negli anni della Grande Depressione. Con un padre malato e assente e una madre costretta a turni massacranti in ospedale per sbarcare il lunario, non ebbe di certo una infanzia facile. Ma imparò a suonare la chitarra, e la sua voce unica, unita ad una intensità interpretativa mai vista prima di allora, gli consentirono di piazzare dodici brani al primo posto nelle classifiche musicali americane. La sua carriera fu sfolgorante e divenne presto una celebrità.
Cosa ancora più importante, lasciò una gigantesca eredità a quanti vennero dopo di lui. Tantissimi artisti gli sono debitori, primo fra tutti Bob Dylan. In Chronicles – Volume 1 scrisse di Hank Williams:
“Il suono della sua voce mi trapassò come una verga carica di elettricità. Era come se avesse trovato il modo di sconfiggere la forza di gravità. […] Una voce bella come le sirene delle navi”
“Quando sento cantare Hank, ogni movimento cessa di esistere. Il più lieve sussurro sembra un sacrilegio.”
Lost Highway di Hank Williams è una celebre canzone country che in realtà non è stata scritta da Hank Williams, come tutti pensano. La scrisse nel 1948 Leon Payne, un cantautore country cieco, che la registrò nello stesso anno con l’etichetta Bullet di Nashville. Eccolo qui nella foto, primo da sinistra, insieme ad Hank Williams.
Hank Williams la scoprì mentre era in tour in Louisiana e Texas e se ne innamorò. Con la sua voce unica, ne fece una propria, magistrale versione. Quella che io adoro.
Lost Highway di Hank Williams (scritta da Leon Payne)
I’m a rollin stone all alone and lost For a life of sin I have paid the cost When I pass by all the people say Just another guy on the lost highway.
Just a deck of cards and a jug of wine And a womans lies makes a life like mine Oh the day we met, I went astray I started rolling down that lost highway.
I was just a lad, nearly 22 Neither good nor bad, just a kid like you And now I’m lost, too late to pray Lord I take a cost, oh the lost highway.
Now boys don’t start to ramblin’ round On this road of sin are you sorrow bound Take my advice or you’ll curse the day You started rollin’ down that lost highway.
Fonti consultate per Lost Highway di Hank Williams:
Ho visto qualche mese fa su Netflix un bel documentario intitolato “Austin to Boston”. Racconta di un viaggio di tremila miglia compiuto in due settimane, su quattro vecchi pulmini Volkswagen, da quattro diverse band. Folk rock e il bluegrass i generi musicali che fanno da colonna sonora – e colonna portante – di questo tour vecchio stampo.
Ben Howard & the band, The Staves, Nathaniel Rateliff e Bear’s Den. Questi i nomi degli artisti protagonisti di questa avventura. La narrazione è ben congegnata, e alterna momenti più intimi e riflessivi con altri immancabili in qualsiasi racconto on the road che si rispetti. Se si tratta di un on the road negli Stati Uniti, diventa difficile uscire dagli stereotipi dell’immaginario collettivo. Ma la regia di James Marcus Haney e la narrazione di Gill Landry riescono a confezionare un prodotto discretamente riuscito, punteggiato da brani piacevoli e suggestivi.
Le armonizzazioni delle Staves rappresentano la parte più interessante del documentario, e particolarmente suggestiva è la loro interpretazione di “Chicago” di Sufjan Steven. Altro brano che adoro, anche nella sua versione originale. Non ho trovato lo spezzone tratto da “Austin to Boston” nel quale lo cantano, ma quest’altro video amatoriale rende comunque l’idea:
Prodotto da Ben Lovett dei Mumford & Sons (altra garanzia di qualità nel folk moderno), “Austin to Boston” è un documentario che merita di essere visto, soprattutto se vi piacciono i viaggi on the road, la freschezza della giovinezza, nonché questi generi musicali. Se poi aspirate, come me, di riuscire prima o poi a suonare la chitarra in grazia di dio, vi sarà di grande ispirazione.
“The mountaineer’s courtship” e “The Spanish merchant’s daughter” sono due vecchi e suggestivi brani country tradizionali inclusi nel terzo volume della imperdibile “Anthology of American folk music” di Harry Smith. Questa mattina mi è capitato di ascoltarli uno di seguito all’altro e me ne sono innamorato.
Incise tra il 1927 e il 1928 da Ernest “Pop” Stoneman con la moglie Hattie Frost, sono due divertenti canzoni costituite da uno scambio di battute a mo’ di botta e risposta tra un uomo e una donna. Un vero e proprio corteggiamento.
Questo è il testo di “The mountaineer’s courtship”, ovvero il corteggiamento del montanaro. Nelle prime battute è tutto rose e fiori, la donna è perdutamente innamorata e chiede all’uomo quando si deciderà a sposarla. Man mano che la canzone va avanti saltano però fuori delle sorprese. Il montanaro in realtà ha già sei figli da una precedente relazione, di cui la donna ignorava l’esistenza. Peggio ancora, è un morto di fame: non ha nemmeno un calesse con cui venirla a prendere per il matrimonio, ma soltanto una slitta da tronchi trainata da un bue. La donna prova a questo punto a porre rimedio e a fare marcia indietro. Ma ormai è troppo tardi, e il danno è fatto: la zia Sally ha già ucciso e spiumato l’oca per imbottire il letto per lo sposo.
Oh, when are you coming to see me?
To see me, to see me?
Oh, when are you coming to see me,
My dear old reckless boy?
I expect I’ll come next Sunday.
Next Sunday, next Sunday.
I expect I’ll come next Sunday,
If the weather is good.
Oh, how long you think you’ll court me?
You’ll court me, you’ll court me?
Oh, how long you think you court me,
My dear old reckless boy?
I expect I’ll court you all night.
All night, all night.
I expect I’ll court you all night,
If the weather is good.
Oh, when do you think we’ll marry?
We’ll marry, we’ll marry?
Oh, when do you think we’ll marry,
My dear old reckless boy?
I expect we’ll marry in a week.
In a week, in a week.
I expect we’ll marry in a week,
If the weather is good.
Oh, what’re you gonna ride to the wedding in?
To the wedding in, to the wedding in?
Oh, what’re you gonna ride to the wedding in,
My dear old reckless boy?
I expect I’ll bring my log sled.
My log sled, my log sled.
I expect I’ll bring my log sled,
If the weather is good.
Oh, why not bring your buggy?
Your buggy, your buggy?
Oh, why not bring your buggy,
My dear old reckless boy?
My ox won’t work to the buggy.
To the buggy, to the buggy.
My ox won’t work to the buggy,
‘Cause I’ve never seen him try.
Oh, who’re you gonna bring to the wedding?
To the wedding, to the wedding?
Oh, who’re you gonna bring to the wedding,
My dear old reckless boy?
I expect I’ll bring my children.
My children, my children.
I expect I’ll bring my children,
If the weather is good.
Well, I didn’t know you had any children.
Any children, any children.
Well, I didn’t know you had any children,
My dear old reckless boy.
Oh, yes I have six children.
Six children, six children.
Oh, yes I have six children,
Joe, Jim, John, Sally and the baby.
Run and tell aunt Sally,
Aunt Sally, aunt Sally,
Oh, run and tell aunt Sally,
The old gray goose is dead.
The one that she’s been saving,
Been saving, been saving,
The one that she’s been saving,
To make her feather bed.
Questi due brani rappresentano anche l’occasione, su questo blog, di introdurre per la prima volta la “Anthology of American folk music”. Pubblicato nel 1953 dalla Folkways Records, è uno dei dischi più influenti nella storia della musica americana. Una autentica miniera d’oro musicale. E non mancherà certamente l’occasione di parlarne più in dettaglio in futuro.
Una perla nascosta nella discografia di Dylan, capace di emozionarmi ogni volta che la sento. “Every grain of sand“, nell’incisione contenuta nell’album “The Bootleg Series Volumes 1-3 (Rare & Unreleased) 1961-1991“, ha una freschezza e una suggestione che si ritrovano di rado da altre parti.
Nell’autunno del 1981 Dylan chiamò Jennifer Warnes per farle sentire una nuova canzone che aveva scritto e registrarla insieme. La Warnes, cantante cristiana che aveva piazzato alcuni successi da hit parade negli anni precedenti (e che qualche anno dopo fece incetta di Oscar, Grammy e Golden globe per il brano “The time of my life” del film “Dirty dancing – balli proibiti”), si presentò ai Rundown studios con tutta probabilità con una certa apprensione mista a perplessità.
Soltanto tre anni prima infatti, Bob Dylan, nato Robert Allen Zimmerman in una famiglia ebraica di Duluth in Minnesota, fece scalpore per la sua conversione a “cristiano rinato”.
I due album usciti in quegli anni, “Slow train coming” e “Saved”, denotavano una visione fondamentalista e intransigente della realtà che spiazzò la critica e il pubblico. La scelta apparve ancora più inspiegabile in un artista che, a partire dalla metà degli anni ’60, era diventato la leggenda vivente del rock per la sua poetica spesso anticonformista e la sua rivolta nei confronti di tutto l’establishment che lo avrebbe voluto, per comodità, etichettare di volta in volta come cantante di protesta, simbolo della controcultura giovanile, profeta del folk e chissà cos’altro.
Dylan fece sentire a Jennifer Warnes una sola volta il brano al pianoforte, dopodiché le chiese di registrarlo, senza darle il tempo di studiarselo con calma o di provarlo in alcun modo. Dylan non era nuovo a questo modo di lavorare, che lasciava spesso sconcertati i musicisti che lo dovevano accompagnare, ma ancora una volta fece il capolavoro.
Ne venne fuori un’incisione fenomenale, durante la quale, ad aggiungere improvvisazione all’improvvisazione, i cani di Dylan iniziano ad abbaiare amalgamandosi in maniera perfetta con la melodia e aggiungendo un ulteriore livello di profondità a questo brano, che altro non è se non un canto di gratitudine per tutta la meraviglia della vita, la potenza assoluta della creazione e il mistero che si cela dietro anche le più piccole cose, come appunto i granelli di sabbia del titolo.
In the time of my confession, in the hour of my deepest need
When the pool of tears beneath my feet flood every newborn seed
There’s a dyin’ voice within me reaching out somewhere
Toiling in the danger and in the morals of despair
Don’t have the inclination to look back on any mistake
Like Cain, I now behold this chain of events that I must break
In the fury of the moment I can see the Master’s hand
In every leaf that trembles, in every grain of sand
Oh, the flowers of indulgence and the weeds of yesteryear
Like criminals, they have choked the breath of conscience and good cheer
The sun beat down upon the steps of time to light the way
To ease the pain of idleness and the memory of decay
I gaze into the doorway of temptation’s angry flame
And every time I pass that way I always hear my name
Then onward in my journey I come to understand
That every hair is numbered like every grain of sand
I have gone from rags to riches in the sorrow of the night
In the violence of a summer’s dream, in the chill of a wintry light
In the bitter dance of loneliness fading into space
In the broken mirror of innocence on each forgotten face
I hear the ancient footsteps like the motion of the sea
Sometimes I turn, there’s someone there, other times it’s only me
I am hanging in the balance of the reality of man
Like every sparrow falling, like every grain of sand
Nel momento della mia confessione, nel momento del mio più profondo bisogno
Quando la pozza di lacrime sotto i miei piedi si allaga con ogni neonato seme
C’è una voce in agonia dentro di me che cerca qualcosa da qualche parte,
lavorando duramente nel pericolo e nella morale della disperazione.
Non ho l’inclinazione a guardare indietro ad ogni sbaglio,
come Caino, adesso scorgo questa catena di eventi che devo spezzare.
Nella furia del momento, riesco a vedere la mano del Signore
In ogni foglia che trema, in ogni granello di sabbia.
Oh, i fiori dell’indulgenza e l’erbaccia degli anni passati,
come criminali, hanno soffocato il respiro della coscienza e del buon conforto.
Il sole batte sui passi del tempo per illuminare la strada
Per affievolire il dolore dell’ozio e la memoria del declino.
Fisso attraverso l’entrata di affamate fiamme tentatrici
Ed ogni volta che passo da questa parte sento sempre il mio nome.
Poi avanti nel mio viaggio riesco a capire
Che ogni capello è numerato così come ogni granello di sabbia.
Sono passato dagli stracci alla ricchezza nel dolore della notte
Nella violenza di un sogno estivo, nel brivido di una luce invernale,
nell’amara danza della solitudine che svanisce nello spazio,
nello specchio rotto dell’innocenza su ogni viso dimenticato.
Sento gli antichi passi come il movimento del mare
A volte mi giro, e c’è qualcuno lì, a volte solo io.
Sono sospeso in equilibrio sulla realtà dell’uomo
Come ogni passero che cade, come ogni granello di sabbia.