Altri orizzonti

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E’ mattina. Sto andando a lavoro, ma oggi non ho fretta di arrivare. Sono ancora stanco da ieri, e ho bisogno di un momento di pausa. O di riflessione, forse. Mi fermo in uno spiazzo, scendo dalla macchina e faccio due passi. Terreno bagnato di rugiada. Profumo di macchia mediterranea. Un paesaggio spettacolare, una valle che sembra incontaminata e primigenia. Torno in macchina a prendere il telefono per scattare una foto, dandomi mentalmente del deficiente per non aver portato la fotocamera. Quella vera.

Inquadro. Pura natura, e un orizzonte che riempie gli occhi e il cuore.

E’ in mezzo a questa Natura che dovrei stare. E’ sopra questa terra che dovrei stare. Aria fresca, erba, terra, foglie e vento. Realtà. Verità. Purezza.

E invece io che faccio? Sto andando a lavoro. Anzi, ringraziamo pure che ho avuto per lo meno il buonsenso di fermarmi un attimo.

Ma a parte questo sprazzo di inaspettato buonsenso, il problema vero resta un altro. Con tutta questa meraviglia da contemplare, con tutta questa vita reale da vivere, io cosa faccio? Sto andando a lavoro. E magari anche stessi andando a fare qualcosa di utile. Di stimolante. Di interessante. Magari! Sicuro come la morte che anche oggi andrò sul posto di lavoro a sprecare il mio tempo e ore preziose e irripetibili della mia vita per stare a sentire per l’ennesima volta le solite penose e inutili stronzate, bugie, mediocrità e noiosaggini. Non c’è male.

C’è qualcosa di sbagliato in tutto questo. O peggio, è tutto sbagliato tutto questo.

Una coccinella, una cimice e una vespa

Tre foto scattate con la Nikon Coolpix 5700 nel maggio 2003, che postai sul forum Nital e su Photo.net, ai tempi in cui partecipavo attivamente alle discussioni tra appassionati. Che poi questi due siti web si siano livellati verso il basso e siano stati vittima di piaggeria o che io sia nel frattempo maturato resta ancora per me motivo di incertezza.

Una delle foto a cui sono più affezionato, un vero e proprio colpo di fortuna. La coccinella che sembra quasi un chicco di grano, e un abbinamento cromatico molto delicato e particolare.

Costruita nel tavolo della cucina, con una cimice presa direttamente dalla menta del giardino: nonostante queste forzature, le geometrie frastagliate dei profili delle foglie e il bel verde brillante mi continuano comunque a piacere.

Il mio primo nido di vespe. Scoperto casualmente mentre fotografavo nel grano, con il rischio anzi di essere punto per l’invasione. La vespa è stata invece ammirevolmente paziente e si è prestata a farsi riprendere in tutta la sua eleganza essenziale.

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Un illusorio senso di sicurezza

E’ successo qualche settimana fa. Era un sabato strano, tra preparativi per il viaggio a Tokyo e un pomeriggio intero a lavorare al computer, a costruire i turni per agosto, leggere le ultime vergognose strumentalizzazioni e semplificazioni sui migranti, gli scambi di mercato NBA, articoli sparsi dal Post. Occhi fritti per la troppa luce dagli schermi del Mac e dell’iPhone. Aria condizionata sempre accesa, a tenere lontano da casa il caldo torrido di quei giorni.

Poco prima di cena, aspettando le ennesime pizze ordinate a domicilio, senza troppa convinzione faccio zapping tra la programmazione di Sky, e trovo in onda la puntata su Yellowstone della serie “I grandi parchi americani”. Bene. Yellowstone era proprio la nostra prima scelta per il viaggio di questa estate, ma già a gennaio era tutto prenotato e abbiamo ripiegato sul Giappone.

Nei primi istanti resto affascinato dalle immagini meravigliose: i bisonti ricoperti di neve, i musi affusolati dei lupi, il nero lucido dei corvi imperiali, il paesaggio primigenio delle montagne e dei boschi. Uno spettacolo unico al mondo. Sogno di andarci un giorno a fare foto. Ma le immagini continuano a scorrere sullo schermo, e il mio stato d’animo muta in un lampo.

Prima scena. Un bisonte partorisce un cucciolo già morto, un branco di lupi se ne accorge e se lo mangia. Non sazi, attaccano la madre indebolita per avere appena partorito. Il bisonte scappa con il cordone ombelicale ancora penzoloni, e riesce a trovare protezione nella mandria che si schiera a cerchio.

Seconda scena. Un lupo trova un cucciolo di wapiti che si è allontanato dalla mandria. Si avvicina di fronte, a due metri da lui. Il wapiti nemmeno accenna la fuga, non fa una mossa. Il lupo si lancia in avanti, lo azzanna al collo e lo uccide, trascinandolo inerme nel pendio innevato.

Terza scena. Un altro bisonte partorisce un cucciolo, sdraiandosi tutto solo tra l’erba e i cespugli. Dopo qualche secondo, visibilmente provato dallo sforzo appena effettuato, il bisonte si rialza e lecca via pezzi di sacco amniotico dal cucciolo. Entro poche ore il cucciolo dovrà essere in grado di camminare e seguire la mandria. Se non ci riuscirà, la sua sorte é segnata

Quarta scena. Un grizzlie trova una carcassa di bisonte mezzo spolpata nella riva di un fiume. Si ferma a mangiarlo. Arriva un altro grizzlie e vuole impadronirsi della carcassa. Si affrontano, e il nuovo arrivato ha la meglio. Spinge il rivale nel fiume, si guardano per un istante negli occhi. Lo sconfitto prende atto dei rapporti di forza, ammette la sconfitta e se ne va.

Ed eccomi catapultato, dal mondo virtuale, nella ritrovata consapevolezza di ciò che è reale. Nella presa di coscienza di quanto la nostra piccola routine quotidiana, le nostre abitudini e immotivate certezze, non siano altro che il frutto di una insensata illusione di invulnerabilità.

Il distacco dalla natura tipico della nostra società ci sta facendo perdere di vista quelle che sono le sue leggi. Immutabili, e non meno vere per il fatto che pensiamo di averle confinate altrove da noi. Natura meravigliosa e spietata. Indifferente all’uomo e a tutti gli altri esseri viventi. Senza preferenze. Senza favoritismi.

Le sue leggi si esplicano, inconsapevoli e indifferenti alle conseguenze. Dovremo ricordarcelo di più. Dovremo ricordarci tutti i giorni che siamo fatti di carne, sangue e ossa. Siamo fragili, e non c’è nessuna certezza. Inutile illudersi. Inutile programmare. Mai perdere questa consapevolezza.

La grande migrazione delle anguille dal Mar dei Sargassi

La grande migrazione delle anguille dal Mar dei Sargassi è stata una delle scoperte più sorprendenti che mi sia capitato di fare di recente. Una storia piena di fascino, che merita assolutamente di essere raccontata.

Tutto iniziò a seguito della passione di mio figlio per i libri di animali. Mi chiede di leggerglieli in maniera approfondita per conoscere nome esatto e tutte le caratteristiche delle varie specie.

In uno di questi libri ho scoperto di avere fino ad ora completamente sottovalutato le anguille, alle quali invece dopo questa scoperta va tutta la mia ammirazione. Nella mia crassa ignoranza, queste erano le uniche informazioni che avevo su questi pesci: vivono nei fiumi o nella foce degli stessi, e sono buone sia arrosto che in umido.

Le anguille invece sono protagoniste di una migrazione stupefacente, nel corso della quale coprono distanze enormi, e che per gran parte resta ancora avvolta nel mistero. Siamo nel 2017, convinti di sapere tutto e di essere pronti a conquistare lo spazio. Per fortuna invece bastano le comuni anguille, che tutti crediamo di conoscere, per riportarci subito con i piedi per terra. E meno male!

la grande migrazione delle anguille dal mar dei sargassi

Il Mar dei Sargassi

Tanto per cominciare, sembrerebbe che tutte le anguille, che si possono pescare in America, in Europa o in Africa, nascano esclusivamente nel Mar dei Sargassi. E già questo basterebbe a farmi appassionare a questa storia. Dove accidenti è il Mar dei Sargassi? Un nome che evoca storie di pirati e bucanieri…

Ho fatto allora qualche ricerca sul web, e ho scoperto che il Mar dei Sargassi si trova nell’Atlantico nord occidentale, più o meno tra le Grandi Antille, le Azzorre e le Bermuda.

E qui iniziano le stranezze. Si tratta di un mare, ma a differenza di tutti gli altri non è circondato da nessuna terra. In realtà è una parte dell’Oceano, e di conseguenza ha dei confini mobili e mutevoli, impossibili da individuare con esattezza. In buona sostanza, è definito dalle correnti che lo circondano, quali la Corrente del Golfo, la Corrente Nord Equatoriale e tante altre. Pur trovandosi in mezzo a tutte queste correnti, e anzi proprio a causa di queste, è un mare generalmente piuttosto tranquillo.

la grande migrazione delle anguille dal mar dei sargassi

Le sue acque superficiali sono più calde e meno dense di quelle in profondità, dando origine a due strati d’acqua che favoriscono l’esistenza di un ecosistema unico al mondo, quello appunto dei sargassi. I sargassi sono grovigli di alghe marine fluttuanti sotto il pelo dell’acqua, che forniscono l’habitat ideale a numerose piccole specie acquatiche.

la grande migrazione delle anguille dal mar dei sargassi

La grande migrazione delle anguille dal Mar dei Sargassi

Le anguille sono molto comuni nei nostri fiumi e mari, eppure è possibile trovare esclusivamente esemplari adulti. Dove sono le forme larvali, o le anguille appena nate?

Fin dall’antichità questo fatto ha sempre sconcertato gli scienziati, tanto che in mancanza di spiegazioni più soddisfacenti Aristotele riteneva che esse avessero origine direttamente dal fango. Sembra incredibile, ma soltanto poco più di cento anni fa si è riusciti, e solo in parte, a venire a capo di questo mistero. Due naturalisti italiani, Grassi e Calandruccio, riuscirono ad allevare alcuni esemplari di un piccolo pesce trasparente chiamato Leptocefalo. Man mano che crescevano, i leptocefali si trasformavano in ceche, ovvero le giovani anguille. Arrivati a questo punto, si erano scoperte le larve delle anguille, ma nel punto di cattura non era possibile trovare alcun esemplare adulto. Il mistero continuava ad infittirsi.

la grande migrazione delle anguille dal mar dei sargassi

Soltanto nel 1904 l’oceanografo danese Schmidt scoprì, proprio nel Mar dei Sargassi, una elevatissima presenza delle larve delle anguille. Il Mar dei Sargassi è infatti l’unico punto al mondo nel quale le anguille si riproducono. A questo punto inizia la grande migrazione delle anguille dal Mar dei Sargassi.

I leptocefali, sospinti dalle correnti dell’Atlantico, sono protagonisti di un incredibile viaggio della durata di circa tre anni nel corso dei quali percorrono 6.000 o 7.000 km per arrivare in Europa, ormai allo stadio di ceche. I maschi restano nelle acque salmastre della foce dei fiumi, le femmine invece si sospingono all’interno risalendo i fiumi controcorrente e arrivando anche a colonizzare specchi d’acqua che non hanno alcun contatto con il mare, quali stagni o pozze d’acqua, strisciando se serve nell’erba bagnata e nelle falde sotterranee.

photo: Heather Perry, National Geographic

Qui vivono in media per 15-20 anni, poi quando l’impulso alla riproduzione prevale, ripercorrono i fiumi fino al mare e iniziano una nuova, incredibile migrazione per tornare al Mar dei Sargassi. Altra migrazione in senso inverso, un viaggio di migliaia di chilometri nel quale sono esposte ad innumerevoli pericoli. Per affrontarlo, il loro corpo si adatta alle profondità oceaniche, gli occhi si sviluppano e verosimilmente confidano esclusivamente nelle proprie riserve di grasso per arrivare senza mai nutrirsi a destinazione. Si tratta in questo caso di una migrazione senza ritorno, in quanto esse muoiono dopo essersi riprodotte.

Che cosa le spinga a migrare e in che modo siano in grado di orientarsi in maniera tanto stupefacente in quella che è la più grande migrazione marina al mondo, non è dato saperlo.

Se questa non vi sembra una storia affascinante…

Per concludere, un interessante video del Monterey Bay Aquarium che mostra l’impoverimento dell’habitat del Mar dei Sargassi a causa, tanto per cambiare, dell’intervento dell’uomo. Avevate dubbi?

Fonti consultate per questo articolo:

Wikipedia: Anguilla anguilla;  Biologiamarina.eu: Le migrazioni oceaniche delle anguille; Il giornale dei marinai: Mar dei Sargassi, uno strano mare tranquillo; Wikipedia: Mar dei Sargassi

Una mattina al Naturhistorisches Museum di Vienna

Lo scorso mese di settembre abbiamo dedicato una intera mattina a visitare il Naturhistorisches Museum di Vienna, uno dei più grandi musei di scienze naturali del mondo.

Con una collezione di oltre venti milioni di reperti, non c’è il pericolo di annoiarsi. Sempre che si sia appassionati di storia naturale e curiosi per natura. Se non lo siete, avete sbagliato blog. Come non meravigliarsi di fronte a tutta la biodiversità e alle varietà di forme, colori, strutture e  stranezze esistenti in natura?

Il percorso di visita inizia con parecchie sale stracolme di minerali, gemme e cristalli giganti da record. Non ne capisco quasi nulla di geologia, ma anche ad uno sguardo veloce c’è di che restare a bocca aperta:

Si prosegue con la più grande collezione al mondo di meteoriti. Assolutamente affascinanti e di aspetto alieno anche alla vista del profano.

Dopo i meteoriti, è il turno di altri reperti che mi affascinano tantissimo: i fossili. Ne ho parlato anche in un altro articolo, quello dedicato a Mary Anning, la bambina cacciatrice di fossili, ma in queste sale c’è di che sbizzarrirsi:

Si entra quindi in una saletta buia, dove è esposto uno dei reperti archeologici più famosi del mondo: la Venere di Willendorf. Si tratta di una affascinante statuetta, alta una decina di centimetri, simboleggiante verosimilmente la Dea Madre, la Madre Terra o la fecondità. E’ una delle più famose statuette del Paleolitico, e si stima sia stata realizzata tra i 25.000 e i 28.000 anni fa.

Pensare al fatto che questi nostri lontanissimi antenati fossero capaci, oltre che di sopravvivere in condizioni difficilissime, anche di esprimere in maniera tanto raffinata le proprie qualità artistiche e spirituali non può che lasciarmi profondamente ammirato per il loro valore.

Come se non bastasse, accanto alla Venere di Willendorf è anche esposta un’altra statuetta, ancora più piccola e antica: la Venere di Galgenberg, risalente a 36.000 (!) anni fa.

Il percorso all’interno del Naturhistorisches Museum continua in infinite sale strapiene di animali impagliati di ogni tipo, e per i bambini è una esperienza da non perdere. Soprattutto la sala dei dinosauri, con scheletri enormi e un allosauro animato a grandezza naturale davanti al quale nostro figlio è restato incantato per una buona mezz’ora.

Dopo qualche altro milione di insetti, tigri, orsi, balene, uccelli grandi e piccoli, la visita si può concludere, con la sensazione di avere visto (e capito) una parte infinitesimale di quello che questo bellissimo museo può offrire. La cosa più importante che mi è rimasta dal Naturhistorisches Museum di Vienna è senza dubbio la consapevolezza della enorme e straordinaria biodiversità della vita sulla Terra.

Un patrimonio di inestimabile valore che dobbiamo a tutti i costi fare il possibile per preservare. Anche perché la storia della Terra ci insegna che oltre il 99% delle specie animali comparse sul nostro pianeta si sono ormai estinte, per una causa o per l’altra, e la razza umana non ha nessun motivo per pensare di essere al riparo da questa eventualità.

Tutte le foto le ho scattate con la fida Fuji XT-1, in condizioni non certo ottimali: senza treppiede e di fretta, perciò la qualità è quella che è. Ma per farsi un’idea sono sufficienti. Per chi volesse invece approfondire, ecco un bel filmato disponibile nel sito ufficiale del Naturhistorisches Museum di Vienna:

tutte le foto © germinazioni