Ecco…questo è proprio il genere di cose che adoro vedere in TV.
Rovinosamente tradotto in italiano con un banale “Velista per caso”, “My Pacific Quest” è un ottimo documentario in sei episodi prodotto da National Geographic che segue il neozelandese Elliss Emmett tra le affascinanti isole del Sud Pacifico. Tonga, Fiji, Wallis e Futuna, Marshall…
Immagini mozzafiato di posti che difficilmente riuscirò a vedere e uno storytelling che ti fa sentire dentro l’avventura. Assolutamente consigliato.
Amelia Earhart, l’isola Howland e l’isola Macquarie: un’altra delle coincidenze di cui mi piace parlare su questo blog. Qualche giorno fa guardavamo con grande spasso di mio figlio “Una notte al museo 2”, e tra i vari personaggi compariva proprio la famosa aviatrice, interpretata da Amy Adams. Non so per quale motivo, l’ho cercata allora su Wikipedia e ho scoperto che Amelia Earhart scomparve nel nulla nel 1937 durante l’avvicinamento finale all’isola Howland, nel tentativo di circumnavigazione del globo seguendo la rotta più lunga mai effettuata, pari a circa 47.000 km.
Ho quindi cercato nell’Atlante delle Isole Remote di Judith Schalansky l’Isola Howland, e ho scoperto che essa si trova, guarda un po’, proprio nella pagina precedente all’Isola Macquarie, della quale ho parlato qualche giorno fa in questo articolo. Come se poi non bastasse, il giorno successivo ho letto sul Post la traduzione di un articolo di Cleve R. Wootson Jr., uscito sul The Washington Post, nel quale si formulano nuove ipotesi sulla morte di Amelia Earhart. Insomma, ce n’era abbastanza per incuriosirmi e fare qualche ricerca sulla storia dell’aviatrice e sulle isole del Pacifico di cui si parlava.
La scomparsa di Amelia Earhart
Era l’epoca d’oro dell’aviazione, quella pionieristica nella quale c’erano ancora record da battere e trasvolate ancora mai tentate. Amelia Earhart era l’eroina nazionale americana. Prima donna ad avere attraversato l’Atlantico nel 1928. Prima donna ad effettuare la trasvolata in solitaria dell’Atlantico nel 1931. Prima donna ad attraversare gli Stati Uniti senza scalo nel 1932. Prima donna ad effettuare la trasvolata del Pacifico. Una leggenda vivente.
Alla mezzanotte del 2 luglio 1937, Amelia Earhart e il secondo navigatore Fred Noonan, fecero alzare in volo il Lockheed Electra L10, da lei appositamente modificato, dalla pista di Lae, in Nuova Guinea. La loro destinazione, dopo 4.113 km di volo sopra l’Oceano Pacifico, sarebbe dovuta essere un minuscolo e quasi invisibile fazzoletto di terra disperso nel mare infinito. Un atollo disabitato di pochi chilometri quadrati, chiamato Isola Howland.
L’Isola Howland
Con un fuso orario UTC-12 è l’ultimo posto al mondo in cui avviene il cambio della data. Volendo festeggiare il Capodanno in quest’isola, dovrete armarvi di pazienza e aspettare un giorno in più.
Ma non era questa peculiarità dell’isola che interessava Amelia Earhart. L’Isola Howland, e basta guardarla dal cielo per capirlo, sembra esser stata disegnata apposta per essere una perfetta pista di atterraggio in mezzo al nulla. Allungata, perfettamente piatta e priva di vegetazione.
Il problema è che è piccola, troppo piccola. Quasi invisibile. Basta una nuvola qualsiasi per nasconderla alla vista. Negli anni ’30 le tecniche di navigazione aerea erano ancora pionieristiche, e per tale motivo il cutter USCGC Itasca della United States Coast Guard avrebbe dovuto guidare il Lockheed Electra fino all’Isola Howland tramite navigazione radio.
Ma qualcosa andò storto, e alle 07.42 del 2 luglio Amelia Earhart trasmise via radio:
“Dovremmo essere sopra di voi, ma non riusciamo a vedervi — ma il carburante si sta esaurendo. Non siamo riusciti a raggiungervi via radio. Stiamo volando a 1.000 piedi “
L’Itasca inviò segnali in codice Morse, ma dall’aereo non riuscirono a determinarne la direzione. Alle 08:43 arrivò un nuovo messaggio dalla aviatrice:
“Siamo sulla linea 157 337. Ripeteremo questo messaggio. Ripeteremo questo messaggio a 6210 kHz. Attendete».
Poco tempo arrivò l’ultimo messaggio dal Lockheed Electra:
“Stiamo volando in linea nord e sud”
Dopodiché, le tracce di Amelia Earhart si persero per sempre. Per le ricerche il presidente Roosvelt schierò 9 navi e 66 aerei, per un costo di vari milioni di dollari dell’epoca. Ma senza successo.
Negli anni successivi sono state avanzate innumerevoli ipotesi sulla scomparsa di Amelia Earhart. La più accreditata è quella dell’incidente e affondamento. Una volta terminato il carburante, l’Electra sarebbe sarebbe stato costretto ad un ammaraggio di emergenza non lontano dall’Isola Howland, e i due piloti sarebbero quindi morti annegati. Tra il 2002 e il 2006 sono state compiute ricerche sottomarine del fondo oceanico, per un costo di svariati milioni di dollari, ma il relitto dell’aereo non è stato mai trovato.
L’ipotesi dell’atollo di Nikumaroro
Secondo la teoria dell’International Group for Historic Aircraft Recovery (TIGHAR) Amelia Earhart sarebbe ammarata nell’atollo di Nikumaroro, un’isola disabitata dell’Arcipelago delle Isole della Fenice, distante 643 km a sud dell’Isola Howland.
E tra parentesi… che nome fantastico! Arcipelago delle Isole della Fenice. Mi sarei appassionato a questa storia anche solo per aver scoperto questo nome!
A favore di questa ipotesi si riporta come prova principale il fatto che nel 1991 sarebbe stato ritrovato a Nikumaroro un pannello di alluminio proveniente dal Lockheed Electra della Earhart, nonché la triangolazione delle chiamate radio effettuate dal velivolo dopo l’ammaraggio.
Questa ipotesi ha parecchi elementi che lasciano perplessi, ma mi hanno portato a cercare l’atollo di Nikumaroro sul web, e a esplorarlo virtualmente su Google Earth: che meraviglia!
E con questa immagine finisce questa storia, che da una film di Hollywood mi ha condotto ad una affascinante avventura nella storia dell’aviazione e nelle meraviglie del Pacifico.
Ho deciso di scrivere questo blog per parlare delle cose più varie, ma che presentano curiosi collegamenti reciproci e rimandi, e oggi è il turno dell’Isola Macquarie. E da questo punto di vista, credo sia quasi impossibile parlare di un argomento più disparato che di questa remota isola dell’Oceano Pacifico, dispersa tra Nuova Zelanda e Antartide.
I pinguini dell’Isola Macquarie
Ho sentito nominare per la prima volta l’isola Macquarie in un libro di pinguini che ho sfogliato tante volte con mio figlio, quando ancora aveva un paio d’anni. I pinguini lo hanno sempre affascinato, e già da allora, peculiarità che ha conservato anche adesso che ha qualche anno in più, amava conoscere il nome esatto di tutti gli animali. Oltre ai più conosciuti Pinguino Imperatore e Pinguino reale, specie più esotiche erano rappresentate dal Pinguino delle Isole Galapagos o dal Pinguino di Adelia.
C’era però in questo libro una foto del pinguino che ci appariva il più misterioso ed esotico di tutti: il Pinguino dell’Isola Macquarie. Ed eccoli qua, con il loro ciuffo ribelle da rocker anni’80:
Cercando sul web qualche immagine dell’esotico pennuto, al momento della scrittura di questo articolo, ho scoperto che in realtà il Pinguino dell’Isola Macquarie non esiste. O per lo meno, non c’è una specie che si chiami in questo modo. Si tratta invece di pinguini reali dal ciuffo dorato, che nidificano esclusivamente su quest’isola.
Sia come sia, per me e mio figlio esisterà sempre il Pinguino dell’Isola Macquarie, come diceva la didascalia della foto nel libro che abbiamo sfogliato tante volte. E pazienza se nelle classificazioni dei naturalisti esso non sia contemplato.
Un po’ di storia…
Detto questo, a suo tempo non avevo idea di dove si trovasse l’Isola Macquarie, ma questo nome mi è rimasto impresso. Mi ha perciò incuriosito una notizia letta oggi nel giornale, nella quale si riportava che il governo australiano (al quale l’isola appartiene) ha deciso di smantellare a partire dal 2017 la stazione di ricerca scientifica dell’Australian Antarctic Division, in funzione dal 1948.
Lunga poco più di trenta km, fu scoperta casualmente nel 1810 dal navigatore australiano Frederick Hasselborough, in cerca di nuovi territori dove cacciare foche.
Non che dopo la scoperta abbia mai goduto di chissà quale fama, come si può capire dalle dichiarazioni che seguono:
Quest’isola è il posto più tremendo che si possa immaginare dove trascorrere un esilio involontario, in schiavitù”
Capitano James Douglas – 1822
oppure, qualche anno dopo:
“Macquarie non offre niente che invogli a visitarla”
Sottotenente Charles Wilkes
Un secolo più tardi, il riscatto. Finalmente. Dichiarata “Santuario della natura” nel 1933 e “Patrimonio mondiale dell’umanità” dell’Unesco nel 1997, ospita centinaia di migliaia di pinguini e di elefanti marini, nonché svariate specie di uccelli marini e una trentina di ricercatori e scienziati.
Un ecosistema a rischio?
La dismissione della stazione di ricerca, motivata da ragioni economiche più che scientifiche, ha suscitato pertanto numerose polemiche. Si teme che senza di essa potrebbe calare il livello di attenzione sul fragile ecosistema dell’isola, già messo più volte a rischio a seguito della introduzione di specie esterne, quali topi, gatti e conigli. Tanto per dare un’idea, si conta che attualmente i conigli superino le 100.000 unità, e negli anni passati alcune specie endemiche sono state a rischio di estinzione per questo motivo.
L’Isola Macquarie, nella mia immaginazione, potrebbe a pieno titolo far parte di quelle “Lontane isole del vento” di Hugo Pratt, uno dei titoli più evocativi che abbia mai letto. In realtà quella era una storia ambientata nelle calde isole dei Mari del Sud. Altro nome strepitoso, che fa correre la fantasia.
L’Isola Macquarie è anche descritta nel bel libro di Judith Schalansky “Atlante delle Isole Remote” edito da Bompiani, opera suggestiva che sto leggendo con grande piacere.