Tramontata è la luna
Saffo – traduzione di Salvatore Quasimodo
e le Pleiadi a mezzo della notte;
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.
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E se non puoi la vita che desideri
O Segnor, per cortesia
Una lauda assolutamente sorprendente, scoperta ascoltando l’audiolibro “Millennium poetry” di Valerio Magrelli.
Un elenco di malattie e disgrazie che il poeta si augura (!) di ricevere, come una sorta di autoflagellazione, per espiare in qualche modo le colpe delle impurità del suo corpo di peccatore.
La lingua del mille e duecento poi è assolutamente affascinante.
O Segnor, per cortesia,
Mannane la malsania
A me la freve quartana,
la contina e la terzana,
la doppia cotidïana
co la granne etropesia.
A me venga mal de denti,
mal de capo e mal de ventre,
a lo stomaco dolor pognenti,
e ’n canna la squinanzia.
Mal degli occhi e doglia de fianco
e l’apostema dal canto manco;
tiseco ma ionga en alco
e d’onne tempo la fernosia.
Aia ’l fecato rescaldato,
la milza grossa, el ventre enfiato,
lo polmone sia piagato
con gran tossa e parlasia.
A me vegna le fistelle
con migliaia de carvoncigli,
e li granchi siano quilli
che tutto repien ne sia.
A me vegna la podagra,
mal de ciglio sì m’agrava;
la disenteria sia piaga
e le morroite a me se dia.
A me venga el mal de l’asmo,
iongasece quel del pasmo,
como al can me venga el rasmo
ed en bocca la grancìa.
A me lo morbo caduco
de cadere en acqua e ’n fuoco,
e ià mai non trovi luoco
che io affritto non ce sia.
A me venga cechetate,
mutezza e sordetate,
la miseria e povertate,
e d’onne tempo en trapparia.
Tanto sia el fetor fetente,
che non sia null’om vivente
che non fugga da me dolente,
posto ’n tanta ipocondria.
En terrebele fossato,
ca Riguerci è nomenato,
loco sia abandonato
da onne bona compagnia.
Gelo, granden, tempestate,
fulgur, troni, oscuritate,
e non sia nulla avversitate
che me non aia en sua bailia.
La demonia enfernali
sì me sian dati a ministrali,
che m’essercitin li mali
c’aio guadagnati a mia follia.
Enfin del mondo a la finita
sì me duri questa vita,
e poi, a la scivirita,
dura morte me se dia.
Aleggome en sepoltura
un ventre de lupo en voratura,
e l’arliquie en cacatura
en espineta e rogaria.
Li miracul’ po’ la morte:
chi ce viene aia le scorte
e le vessazione forte
con terrebel fantasia.
Onn’om che m’ode mentovare
sì se deia stupefare
e co la croce signare,
che rio scuntro no i sia en via.
Signor mio, non è vendetta
tutta la pena c’ho ditta:
ché me creasti en tua diletta
e io t’ho morto a villania.
Jacopone da Todi – XIII secolo
La via del rifugio
Adoro questa poesia di Guido Gozzano! Non so se si possa riportare qui per intero, quindi ne ho selezionato soltanto alcune strofe:
Socchiusi gli occhi, sto
supino nel trifoglio,
e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò.
Belle come la bella
vostra mammina, come
il vostro caro nome,
bimbe di mia sorella!
Socchiudo gli occhi, estranio
ai casi della vita.
Sento fra le mie dita
la forma del mio cranio…
Ma dunque esisto! O Strano!
vive tra il Tutto e il Niente
questa cosa vivente
detta guidogozzano